Nei giorni scorsi hanno fatto scalpore le parole del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che facendo riferimento ai dati di una recente ricerca pubblicata dall’Istituto Superiore di Sanità, ha lanciato l’allarme: in Italia ci sarebbero 50mila giovani isolati, chiusi nelle loro stanze, attaccati allo smartphone e ai social. Ebbene, questa affermazione è fuorviante, per diversi motivi.
Chi sono gli “hikikomori”
Innanzitutto, se parliamo di “hikikomori”, l’abuso o l’eventuale dipendenza dalle nuove tecnologie, compresi i social, incide relativamente. Questo termine giapponese infatti fa riferimento a un fenomeno sociale estremamente ampio, che conta più di un milione di casi accertati nel solo Paese del Sol Levante. Le sue origini però risalgono a ben prima della rivoluzione digitale: già negli anni ’80 infatti erano centinaia di migliaia i ragazzi nipponici che si recludevano nelle proprie camere da letto e li passavano sostanzialmente tutto il loro tempo, senza internet. L’hikikomori è un profondo disagio psicosociale ed esistenziale che origina principalmente dall’ansia del giudizio, dalla paura di non essere all’altezza delle aspettative, in particolare di quelle genitoriali, o, più semplicemente, scaturisce dalla sensazione di essere diversi dagli altri e di non volere (oltre che di non riuscire) a far parte della società.
Possiamo dunque parlare di un “ritiro sociale volontario”, dove l’isolamento non è appunto una costrizione, ma viene vissuto dall’individuo come una scelta consapevole e motivata. Dunque internet, i social e gli smartphone non hanno alcun ruolo in questo fenomeno? Sbagliato. L’esplosione di queste nuove tecnologie sembra aver peggiorato drasticamente il problema, soprattutto a causa dell’aumento del confronto sociale, favorito in particolare dai social network, che esponendoci costantemente alla vita degli altri ci possono facilmente far sentire sbagliati, brutti o “sfigati”. Ma gli hikikomori di certo non si isolano per stare sui social, anche perché non avrebbero nulla di interessante da pubblicare riguardo la loro vita.
Sicuramente il loro oggetto di dipendenza più frequente sono i videogiochi, di cui spesso abusano, ma anche questi non possono essere considerati come una causa del ritiro, bensì, tuttalpiù, una conseguenza. E attenzione a togliere repentinamente i videogiochi o internet agli hikikomori: potreste peggiorare sensibilmente la loro condizione, oltre che innescare scatti di violenza, sia verbale che fisica. Per loro infatti il mondo digitale rappresenta l’unica finestra che li tiene appesi alla società esterna, mentre il loro corpo rimane sepolto nel buio di una stanza. Ma il ministro Valditara, oltre che sulle cause, si è sbagliato anche sul numero: gli hikikomori in Italia sono ben più dei 50mila sbandierati.
Molto più di 50mila persone
La ricerca dell’Iss, infatti, si è concentrata su una fascia di popolazione molto ristretta, ovvero quella che va dagli 11 ai 17 anni, e, soprattutto, si è concentrata sugli studenti frequentanti. Perché è importante questo aspetto? Perché, secondo i dati raccolti dall’associazione nazionale Hikikomori Italia Genitori (che supporta migliaia di famiglie in tutto il paese) la maggior parte dei ritirati volontari si trova nella fascia tra i 20 e i 25 anni. Parliamo dei “veri hikikomori”, ovvero coloro che non studiano e non lavorano. Dunque, al numero che rilevato dall’ISS bisogna aggiungere tutti i ritirati sociali che la scuola l’hanno già abbandonata, chi da qualche anno, chi da decenni. Di conseguenza è altamente improbabile che gli hikikomori italiani siano “solo” 50mila, mentre è più verosimile immaginare una numero che va dai 100 ai 200mila. Un dramma nascosto destinato prima o poi a esplodere, con dei danni sociali ancora difficili da calcolare.
Fonte : Today