Perché la nomina di Vance da parte di Trump è celebrata da un pezzo di Silicon Valley

La nomina di James David Vance come potenziale vice di Donald Trump ha entusiasmato una parte di Silicon Valley. E rafforzato le speranze di Elon Musk e altri nomi di primo piano del mondo tech come David Sacks di spostare un pezzo di elettorato storicamente liberal in orbita repubblicana.

Vance, 39 anni, è un noto venture capitalist. È uno che di professione ha investito in startup. Almeno per una buona parte della vita in Silicon Valley, fino a una svolta, arrivata un po’ a sorpresa, nel 2020 quando ha lasciato spostato la sua società di investimento in Ohio con il supporto di Peter Thiel (cofondatore di PayPal con Musk) Marc Andreessen (capo del fondo di venture capital più famoso di San Francisco) Eric Schmidt (fondatore di Google) e Scott Dorsey (ex Ceo di Salesforce).

Una scelta politica più che strategica: allontanarsi dalla Silicon Valley e dai suoi intrecci di potere significava portare intelligenze e risorse finanziarie in altre parti d’America, quella abbandonata delle classi lavoratrici. La stessa di quello che è considerato un po’ il suo manifesto politico, “Hillbilly Elegy” del 2017, in cui ha dato voce al risentimento della classe lavoratrice rurale dell’America profonda. Ma declinato in chiave tech.

Vance è stato un forte sostenitore degli investimenti in luoghi per lui troppo a lungo trascurati. Parti d’America dimenticate mentre si concentravano potere, soldi e intelligenze in pochi luoghi: San Francisco, New York, Seattle. Gli assi portanti di Big Tech, settore verso cui non si è risparmiato parole molto critiche. Crede che drenare risorse da quel mondo potrebbe portare la nascita di filiere innovative diverse anche nelle aree più remote dell’America. Di più, forse ripensare il concetto stesso di innovazione, portando menti e soldi in settori finora poco esplorati.

Le critiche a Big Tech e al potere accumulato negli anni

“Big Tech ha un potere enorme. Controllano buona parte della nostra società democratica. Controllano il flusso delle informazioni, decidono a quali contenuti dare spazio e quali oscurare, sono molto più potenti dei media tradizionali ma non ne hanno gli obblighi. Controllano le informazioni ed è un problema”, ha detto in una video intervista al Wall Street Journal a gennaio. Intervista in cui accusa colossi come Facebook, Apple di aver creato “un modello economico parassitario”, costringendo le persone a spendere “quanto più tempo possibile sui dispositivi mobile e vendere prodotti e pubblicità”.

Di più. “Sono poteri accentratori”, ha spiegato, “che drenano risorse finanziarie e umane agli altri settori monopolizzando non solo i mercati, ma l’idea stessa di innovazione”. La tesi di Vance quindi è che l’idea stessa di innovazione tecnologica legata a Big Tech è un freno per la crescita economica di una società. Perché la concentrazione di potere e soldi fa in modo che la società si orienti solo verso quel tipo di innovazione legata a social, big data, commercio elettronico e dispositivi, tralasciando altri settori.

I Venture capitalist della Valley che sono diventati apertamente pro Trump

Vance vuole che quel modello Difficile dire quanto queste idee possano fare presa in Silicon Valley, in Massachussetts e a New York. Ma Vance guarda ai piccoli attori, non ai grandi protagonisti della tecnologia.

Lo scorso maggio un sito indipendente americano, Puck, aveva raccontato di una cena a Hollywood Hill dove alcuni dei maggiori investitori della Silicon Valley si erano riunioni per creare un cartello di venture capitalist trumpiani.

C’era Musk, c’era Thiel, il finanziere Micheal Robert Milken, il cofondatore ed ex amministratore delegato di Uber, Travis Kalanick e un’altra decina di persone tra cui Steven Mnuchin e Rupert Murdoch come ha rivelato in seguito il New York Times. Tutti uniti da una forte avversione nei confronti dell’amministrazione Biden. Tutti stanchi del ruolo che la politica dei democratici sta avendo nei confronti del mercato della tecnologia. Tutti fortemente pro Donald Trump.

Una cena forse impensabile solo quattro anni fa. Ma che in qualche maniera ha fatto emergere un nuovo fenomeno in Silicon Valley. Un tempo considerata tempio della cultura di sinistra. Culla della contro cultura hyppie prima, radicale poi, eredità drenate infine nella nascente scena tecnologica che per decenni ha affondato le radici nello spirito libertario di San Francisco. Oggi in realtà molto più in bilico. O perlomeno capace di mettere in discussione assiomi indiscutibili.

Il ruolo di Elon Musk, pro Trump e anti Biden

Al centro sembra esserci Elon Musk. Alcuni degli amici più stretti di Musk, racconta oggi il New York Times, hanno contribuito a fondare un nuovo super PAC (Political Action Committee, o comitato di azione politica, una struttura per raccogliere fondi in favore – o contro- un candidato politico) destinato ad aiutare l’ex presidente Donald J. Trump. Il gruppo è probabile che riceva un sostegno significativo da parte di Musk (si parla di 45 milioni di dollari al mese), secondo quanto riferito da tre persone vicine al gruppo che hanno parlato a condizione di anonimato. I donatori del gruppo farebbero parte della cerchia di Musk e comprendono una fitta rete di ricchi imprenditori del settore tecnologico che spesso finanziano a vicenda startup, progetti filantropici e candidati politici favoriti.

Martedì The Information, autorevole sito americano sulle dinamiche della Silicon Valley, ha rivelato che Marc Andreessen e Ben Horowitz, fondatori del fondo di venture capital più potente della Silicon Valley, investitori in prima battuta tra gli altri di Facebook, Stripe, OpenAi e Airbnb, hanno detto ai propri partner che finanziaranno il PAC pro Trump.

I motivi che hanno portato Musk, a lungo elettore democratico e che alle ultime elezioni ha votato Biden, ad avvicinarsi a Trump sembrano legati più a questioni di influenza piuttosto che al denaro. Musk – racconta il Nyt – non vuole semplicemente finanziare Trump. Musk su X, il social di sua proprietà, fa apertamente campagna elettorale contro Biden. Un rapporto che sembra si sia inclinato da quando nel 2021 la Casa Bianca non ha invitato Musk a un evento sulla mobilità elettrica. Ma che in realtà sembra essere parte di un movimento più ampio tra i Tycoon tecnologici. Che guardano a destra per ragioni di opportunità, certo, ma anche politiche. Quasi come un risveglio ideologico dopo decenni di dominio liberal.

Fonte : Repubblica