Ma quindi il Morgan musicista è davvero un “genio”?

“Genio” è il termine-ombrello attorno a cui gira la narrazione su Morgan negli ultimi vent’anni: anche ora che la sua immagine sembra andare verso un definitivo disfacimento, di pari passo con i fatti di cronaca, ci si attaccano i pochi che cercano di giustificare il suo comportamento – eh, ma è un artista… – e chi chiede di “separare l’opera dall’uomo”. Senza entrare nel merito, né considerare le doti come divulgatore, conoscitore dei classici e talent scout – peraltro nelle dinamiche di X Factor – o ancora i colpi di testa stile Bugo-gate, perché è non da lì che si misura il presunto genio di un musicista, il tema è un altro: ma davvero l’opera che ci ha lasciato Morgan è così geniale?

Alle radici del repertorio

Vale la pena usare il passato dal momento che sono quindici anni che la sua produzione, anche per problemi personali, procede a singhiozzi, con pochi picchi (la stessa Sincero, comunque frutto del lavoro di altri tre autori, tra cui Bugo) e tanti pezzi sconclusionati, in cui il suo talento non sembra venir incanalato in una direzione che abbia un senso. Perché, è ovvio, il talento c’è sempre stato: il tema è metterlo a sistema, capire se davvero si tratta di un genio raro o semplicemente di un grande artista come tanti che abbiamo avuto prima e tanti altri che abbiamo e avremo da qui in poi.

Ora: l’età dell’oro si concentra in dieci anni, dai tre album dei Bluvertigo, dal 1995 al 1999, la cosiddetta Trilogia Chimica, alle prove soliste Canzoni dell’appartamento (2003) e Non al denaro né all’amore né al cielo (2005), rifacimento del classico di De André. Se l’esordio con la band, Acidi e basi (1995), è acerbo – ma ci sta, basta recuperarsi l’opera prima dei Radiohead per farsi un’idea di come funzioni – restano Metallo non metallo (1997) e soprattutto Zero (1999), una sorta di enciclopedia della musica dal processo di lavorazione radicale e innovativo. Di capolavori, per carità, i due sono pieni, per suoni e composizioni elogiano la stranezza e il diverso (sic!) citando Bowie, i Kraftwerk e gli anni ottanta piuttosto che il grunge allora di moda. Sono, ecco, due capitoli originali, profondi e ispirati (Cieli neri e Punto di non ritorno, tra le altre, sono capolavori proprio di concetto), con rimandi – pochi, eh – anche alla musica colta. Una specie di Battiato, con cui non a caso collaborarono, ma in tono minore.

Il punto però è che sono figli di un’epoca ricchissima per la musica alternativa italiana tutta, con in contemporanea pietre miliari come Hai paura del buio? degli Afterhours (un White album italiano) e Microchip emozionale dei Subsonica, tranquillamente alla loro altezza. Anzi, di più: per spirito, approccio e lascito, sono più seminali dei lavori dei Bluvertigo; Morgan non ha mai ispirato le altre generazioni, non è detto neanche che gli interessasse e ci sta, ma è anche così che si misura l’eredità di un genio, no? Insomma, per quanto riguarda gli anni novanta resta uno dei migliori in un periodo, comunque, di grandi opere, con gruppi magari meno eccentrici, ma del suo calibro.

Canzoni dell’appartamento e Non al denaro né all’amore né al cielo rappresentano invece, pur su traiettorie opposte, il tentativo di avvicinarsi alla tradizione italiana, dallo stesso De André a Bindi e Tenco. Ovviamente sono i suoi dischi più apprezzati da una certa critica, gli sono valsi le quelle due Targhe Tenco – in categorie differenti – sventolate ogni volta che si prova a denigrarlo: sono due gioielli, anche qui, raffinati, barocchi, complessi, ma comunque derivativi con capolavori come Altrove e If e qualche riempitivo.

Se si vogliono citare i premi vinti, allora Vinicio Capossela, di Targhe Tenco, ne ha sei – e non è che sia decorato ovunque come un genio. Se si vuole citare, ancora, la loro influenza, è nulla. Se si considerano dischi alternativi ma dalla risonanza pop come questi, a loro modo epocali per come hanno settato l’asticella di gusti, tendenze e in generale di ciò che è lecito chiedere a un album in quel determinato momento – oltre che, banalmente, di consenso di critica – è dietro a Wow dei Verdena e a DIE di Iosonouncane, tra gli altri. E anche qui: non è che la gente si danni l’anima per definire i loro autori dei geni.

Un mito esagerato

Seguendo gli stessi parametri e senza tornare, poi, su alcuni intoccabili come Battisti, Battiato e Dalla, con cui Morgan stesso non ha mai voluto mettersi in competizione (viene da dire: ma allora è pieno di geni?) è evidente che il mito del “genio”, “ultimo intellettuale” e affini è esagerato: è tra i più grandi della sua generazione, ma anche in prospettiva la sua opera è troppo poco rivoluzionaria, capace di influenzare e radicale per ascriverlo ai grandissimi.

Cos’è successo allora? È successo che dall’inizio ha goduto di una grande esposizione mediatica, prima cavalcando il mezzo televisivo – erano i tempi dei Bluvertigo, su MTV era una presenza fissa – e poi finendone vittima, da X Factor in poi. E la tv, che è sempre in cerca di eroi, d’accordo con la sua allure da artista maledetto ha alimentato il discorso, dando adito a una presunta genialità fine a sé stessa, che non tiene conto del contesto e di un’analisi più profonda. Se ci si limita ai talent, ai suoi giudici e in generale a quegli orizzonti d’immaginario, è facile cadere nella trappola del genio. Se si mette tutto a contesto, la prospettiva cambia. Ma forse, alla lunga, è anche questa distorsione di lui come personaggio, peraltro voluta, a non avere fatto bene all’artista e alla sua opera.

Fonte : Today