C’è qualcosa che non torna nell’esultanza con cui il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, ha accolto i risultati preliminari della sperimentazione del ticket di accesso alla città per i turisti che la visitano in giornata. Il Comune ha incassato dai primi mesi di test della misura 2,2 milioni di euro. Il triplo rispetto alle aspettative. Un successo, direte voi. Non proprio: se l’obiettivo è limitare il turismo in giornata, il ticket funziona se incassi poco. Altrimenti non ha sortito l’effetto. E allora viene da pensare che le stime siano state fatte male. O che il messaggio non è passato. O peggio, che il biglietto non funziona. O che, in fin dei conti, lo scopo è un altro. O che il risultato sia un mix di tutti questi elementi.
Nell’attesa che arrivino i risultati consolidati, che Brugnaro si aspetta per settembre dopo averli affidati a una società di consulenza, come spiegato in una intervista a Libero, un breve riepilogo per chi non ha seguito la vicenda nel dettaglio. Ad aprile il Comune di Venezia introduce un ticket di 5 euro per l’accesso alla città per chi la visita in giornata, limitato a 29 giornate fino a luglio, in corrispondenza di weekend e festività. Sono previste molte esenzioni, sia per i turisti (chi soggiorna almeno una notte, non lo paga) e per chi lavora, studia o risiede in città, così come per le persone residenti in Veneto. E non c’è un numero chiuso. Quindi se paghi, entri.
Limitare gli accessi? Non sembra
Alla presentazione della campagna di comunicazione del ticket, Brugnaro dice che è “il primo passo di un percorso che regolamenta l’accesso dei visitatori giornalieri“. Un’idea coltivata da tempo, perché Brugnano già nel 2016 diceva a margine di un evento dell’Associazione nazionale comuni italiani: “Non è possibile chiudere Venezia, ma possiamo limitare o contingentare gli accessi”. E lo ripete a Libero: “Il nostro obiettivo è sempre stato ”frenare” quelli che a Venezia vengono in giornata“. Tuttavia, i risultati dei primi mesi di applicazione del ticket dimostrano il contrario. A prendere per vere le stime su cui il Comune ha basato l’introduzione del biglietto a 5 euro, nelle 29 giornate di accesso “condizionato” si sarebbero dovuti registrare 140mila visitatori paganti (abbiamo diviso l’incasso totale stimato, 700mila euro, per il costo unitario del ticket). I risultati preliminari, invece, indicano 440mila ingressi a pagamento. E mancano i dati dell’ultimo weekend di test.
Mettiamo pure che qualcuno abbia scoperto del ticket sul posto, e si sia rassegnato a pagare al momento (il Comune è stato molto flessibile): il biglietto non ha indotto la gente a visitare Venezia in altri momenti dell’anno, se fanno fede le stime del Comune. Tant’è che sempre a Libero Brugnaro spiega di voler innalzare il prezzo del ticket in alcune giornate, arrivando a 10 euro. Anche se c’è da credere che nemmeno questo basterà. D’altronde, il tema dei gitanti “della domenica” è solo un pezzo del turismo veneziano. Per una media di 15mila visitatori paganti a giornata, ce ne sono stati 40-50mila che hanno soggiornato almeno una notte in città. E che incidono a loro volta sulla trasformazione di Venezia, sugli effetti dell’over turismo su una città fragile (che ha già rischiato di perdere il titolo di patrimonio dell’Umanità garantito dall’Unesco), sui disagi per i residenti e sulla fuga dal centro. Il Comune ha promesso di intervenire anche sugli affitti brevi, vedremo le misure e gli effetti.
Alternativa a Disneyland
La verità è che, per come è stato disegnato, il biglietto di ingresso non limita gli accessi. Li “tassa”, generando un incasso che il Comune può utilizzare per attutire le conseguenze dell’over turismo (per esempio potenziando i mezzi pubblici), ma non fa calare gli accessi. Quindi la misura può essere ritenuta a suo modo un successo, ma dipende con che lente la si guarda. Se l’obiettivo è raccogliere risorse dal turismo per finanziare le casse pubbliche, è andata benissimo. Se serve a dissuadere i visitatori dal presentarsi in giornate da bollino nero, no.
Al tema mi sono appassionato mentre scrivevo il mio primo romanzo, Il paese più bello del mondo, nel quale immagino un’Italia del futuro in cui i centri storici delle città d’arte diventano parchi a tema per contrastare la crisi economica nazionale. Allora il biglietto di accesso a Venezia era ancora teoria. Ora che è diventato realtà, il parallelismo tra la situazione odierna della città e quella distopica che immagino, con un centro storico chiuso proprio come fosse un parco divertimenti, assume delle tinte inquietanti. La china deviante però non si sconfigge alzando la tariffa (ci sarà sempre chi è disposto a pagare, specie se può vedere Venezia solo in quell’occasione) ma sganciando la città dalla narrazione unidirezionale di destinazione turistica e valorizzando le alternative che la Serenissima può offrire. Un percorso più lungo, articolato e non scontato nel successo. Ma non sarà certo un biglietto di ingresso a tenere fuori Disneyland da Venezia. Anzi. A Brugnaro rispondere alla domanda: a cosa serve davvero il ticket?
Fonte : Wired