La storia della famiglia Iaccarino e del loro ristorante Don Alfonso 1890 è emblematica. Emblematica ma non esclusiva, non unica, anzi condivisa. Condivisa con le famiglie (poche, ma per fortuna non pochissime) che costituiscono l’ossatura della ristorazione di eccellenza in Italia da nord a sud. Certo, qui siamo all’eccellenza dell’eccellenza ma le modalità sono quelle: impegno, visione, ambizione e prudenza assieme, rischio e fame di risultati, investimenti fatto col cuore più che con la testa, sempre, per migliorare ciò che magari ad occhio nudo neppure sembra aver bisogno di alcuna migliorìa.
Il nuovo Don Alfonso a Sant’Agata dei Due Golfi
E così loro – Ernesto e Mario, con papà Alfonso e mamma Livia – hanno preso come trampolino la pandemia per investire ancora, migliorare ancora, mettere ancora a punto la macchina di Sant’Agata dei Due Golfi costituita da un ristorante, alcuni affascinanti spazi comuni con un verde assai curato, una scuola di cucina, un relais, una cantina sotterranea sbalorditiva, e una azienda agricola sulla propaggine più estrema della penisola sorrentina-amalfitana: Punta Campanella. Le camere sono state ulteriormente sistemate nei dettagli; il ristorante è stato chiuso per mesi (proprio in occasione del suo cinquantennio) e riprogettato; la scoscesa tenuta agricola “Le Peracciole” di Punta Campanella è stata predisposta per diventare un resort esclusivissimo di una bellezza ammaliante. Tutto è stato portato a termine all’insegna della dedizione verso la qualità e con un ormai indispensabile occhio alla sostenibilità ambientale (pannelli fotovoltaici, gestione rifiuti, veicoli elettrici…) fino alla definitiva riapertura del ristorante nella primavera del 2024. Ovviamente non senza una visione strategica e imprenditoriale tattica: “abbiamo approfittato dei mesi più difficili sui costi delle materie prime e dell’energia per spegnere la macchina“. D’altra parte Ernesto Iaccarino – attualmente chef del gruppo fondato dal padre Alfonso e dalla madre Livia, mentre il fratello Mario Iaccarino si occupa della sala – non solo è laureato in Economia e Commercio, ma ha dei trascorsi in super-società di consulenza milanese dove negli Anni Novanta si è fatto le ossa prima di dedicarsi definitivamente ai fornelli. E allora concretezza, lucidità, visione e pure coraggio: “a questo giro abbiamo investito altri 3 milioni e ne abbiamo uno e mezzo da investire nell’immediato futuro” spiega riferendosi agli interventi che abbiamo elencato sopra.
Una famiglia presente in tutti i continenti con tanti ristoranti all’estero
Ma quello che vogliamo fare con questo cuoco-imprenditore-economista non è tanto parlare di cucina, materie prime, ricette e nuovi impiattamenti. No. Piuttosto sfruttare la sua visione prospettica e diagonale particolarmente più cristallina di molti altri suoi colleghi e soprattutto approfittare del suo radicamento imprenditoriale in ben cinque continenti in giro per il mondo. Il Gruppo Don Alfonso 1890 ha infatti questa caratteristica, molto rara o forse unica tra i grandi gruppi di alta ristorazione italiani: insegne (fine dining o bistrot con il nuovo progetto Casa Don Alfonso) in tutte le terre emerse. Africa, Asia, Americhe, Europa, Oceania. Dappertutto nell’arco degli ultimi due decenni è aperto attualmente o è stato aperto nel recente un Don Alfonso, una partnership, una consulenza. E allora abbiamo chiesto a Ernesto Iaccarino di raccontarci quali sono le differenze tra il lavorare in Marocco, in Portogallo, a Macao, in Canada, negli Usa e in Italia. Con tanto di pregi e difetti. A lui che oltre ad essere ambasciatore di italianità all’estero, può essere osservatorio di buone pratiche internazionali in Italia. Dunque di qui in avanti la parola a lui.
Don Alfonso in Marocco a Marrakech
“Qui l’obiettivo era naturalmente fare un ristorante italiano. Abbiamo fatto un ciclo di 12 anni di contratto di consulenza dal 2005 al 2017 al Mamounia. Lì la grande difficoltà è stata lavorare con persone davvero sottopagate. Lo stipendio era di 200 euro al mese, nessuno li sfruttava in realtà perché quelle sono le leggi e quegli li stipendi normali, quelle sono le page e i contratti. Significa che la gente viene a lavorare non perché ha un progetto o una passione ma per sfamarsi. E questo ci toglieva la possibilità di correggere la rotta: se chiedo ad una persona di rendere di più quello mi risponde ‘caro chef, ma hai visto quanto guadagno, cosa pretendi da me? Io lavoro per mangiare’ e così è sempre stato difficoltoso proprio a causa delle risorse umane. E però io mi chiamo Don Alfonso e figuracce non ne posso fare… È stata una esperienza dura anche a livello umano e triste questa con le risorse umane in Marocco. La più triste in vita mia”.
Don Alfonso in Canada a Toronto
“Canada paese ricco, paese con pieni diritti, paese moderno. Con una gestione dell’immigrazione facilissima specie se paragonata con l’Italia. Chi vuole lavorare sodo è ben accetto, basta pagare un bonus per farlo entrare ed entra facilmente. Massima flessibilità e disponibilità per chi vuole fare business. Dopodiché i costi qui sono più alti perché gli stipendi sono ben più alti rispetto all’Italia. C’è da dire però che qui gli stipendi vanno ai dipendenti, non allo stato: cuneo fiscale bassissimo”.
Don Alfonso Toronto
Don Alfonso negli Stati Uniti a Saint Louis
“Qui siamo nel Ritz ed è molto simile al Canada il discorso che possiamo fare sugli Stati Uniti. L’unica differenza che i costi sono ancora un filo più alti rispetto al Canada. A livello di immigrazione dopo gli anni di Trump hanno dato un po’ una stretta: è un filo più complicata la faccenda ma il punto è che se vuoi portare personale qualificato alla fine si può fare”.
Casa Don Alfonso a St. Louis
Don Alfonso in Nuova Zelanda
“Paradossalmente qui è complicato in maniera paragonabile addirittura al Marocco: i neozelandesi sono pochi, ci sono delle politiche super restrittive sull’immigrazione (forse più che in Australia) per cui fai fatica a portare dentro personale e in più il governo ti obbliga a lavorare con i neozelandesi che sono pochi e hanno pure poca esperienza: gli abitanti sono pochi milioni e non hanno esperienza, sono lontani, fuori dal mondo e hanno poca esperienza. Dice tutto il viaggio che devo fare per andare a controllare il nostro ristorante: Sant’Agata-Napoli, poi Napoli-Dubai, poi 17 ore di volo Dubai Auckland e quindi dopo due ore di controlli in aeroporto ci sono tre ore di auto per arrivare al ristorante. 48 ore di viaggio”.
Don Alfonso in Nuova Zelanda
Don Alfonso a Cascais in Portogallo
“Qui a Cascais abbiamo appena aperto giusto il 30 aprile 2024. Quale è la caratteristica di questo paese? Ristoranti italiani importanti aperti in Portogallo sono veramente pochi, il paese è molto piccolo e quindi trovare personale e staff di esperienza specie in fine dining italiani è proprio complicato”.
Don Alfonso 1890 a Cascais
Don Alfonso in Cina Macao in Cina
“Pensa che qui la tassazione sui dipendenti è massimo il 10% totale. Significa che se devo dare 1000 ad un dipendente allora mi costa 1100. In Italia se devo dare 1000 mi costa quasi 3000. Ho detto tutto. E poi c’è una manodopera cinese molto precisa, scrupolosa, concentrata. Voglia di imparare, rigore, enorme rispetto dell’imprenditore. Fedeltà. Abbiamo persone a Macao che lavorano con noi da 13 o 17 anni addirittura ovvero da quando abbiamo aperto nel 2007. E infatti ora abbiamo due locali”.
Casa Don Alfonso a Macao
Don Alfonso 1890 a Macao
Don Alfonso in Italia
“Sai quale è il problema principale qui in Italia? Come gestiamo l’immigrazione. Avevo 13 ragazzi perfetti e già formati che dalle nostre attività all’estero volevano venire a lavorare in Italia: beh, non è possibile farli venire. Perché? Perché devi aspettare il click day ovvero quelle due ore dell’anno in cui tu puoi fare domanda di ammissione delle persone extra Unione Europea. Quando invece tutti i paesi anglosassoni consentono la sponsorizzazione ovvero il datore di lavoro paga due o tremila euro al governo per avere il permesso di soggiorno per il proprio nuovo dipendente per la durata del contratto. Su questo davvero siamo indietro. Per di più un paese dove manca un milione di posti di lavoro. Ma come è possibile? Tra l’altro se è vero che manca un milione di posti di lavoro e se altrettanto vero che lo stato potrebbe incassare 3 mila euro a permesso, più i contributi, più il pil che aumenta significa che tu governo puoi fare una operazione da 30 miliardi di euro a costo zero solo grazie all’hospitality e facendo solo bene al paese.
Ci rendiamo conto? Sono due punti di pil a cui si rinuncia non si sa perché. La carenza del personale ce la stiamo provocando da soli. E poi c’è il cuneo fiscale che è davvero una follia in Italia. Se non mettiamo mano al cuneo fiscale abbiamo un problema sociale enorme, non solo per la ristorazione: non stiamo trovando più infermieri, netturbini o persone che guidino l’autobus perché si guadagna troppo poco, non conviene lavorare. Ma non è che si guadagna poco, è che due terzi della paga vanno allo stato e solo un terzo al lavoratore. Solo da noi è così. Se dopo questa mega inflazione da cui veniamo se non diamo una botta al cuneo fiscale è drammatico. È una battaglia che da imprenditori che girano il mondo dobbiamo fare. Oggi l’Italia è il paese più complicato dove operiamo e dove abbiamo mai operato. Un esempio su tutti piccolo ma significativo: siamo l’unico paese dove sono tassate perfino le mance”.
Don Alfonso a Sant’Agata dei Due Golfi
“Vogliamo parlare anche della nostra dimensione locale? E allora devo accennare alle infrastrutture: una viabilità alternativa per evitare di essere così bloccati come siamo con tante ore di auto per fare tutto; neppure chi può girare in elicottero è facilitato perché non si sono fatti gli eliporti e non si sono fatti i porti e le marine turistiche. Quello di Sorrento non lo possiamo chiamare porto se lo paragoniamo a quelli internazionali: insomma ripeto, nelle due costiere non c’è un porto! E in tutta la costiera – nonostante il target di turismo che abbiamo – non c’è un solo campo da golf nonostante vent’anni di ipotesi e di progetti. È tutto deficitario: porti, eliporti, parcheggi, strade, ferrovie. E però il livello è altissimo, i grandi imprenditori vogliono venire qua. Alle volte mi chiedo come mai. E mi rispondo che è come la droga. La mozzarella, il pomodoro… Hai delle materie uniche che basta usare la tecnica al servizio degli ingredienti e la gente resta stregata, anche nella ristorazione media. E allora viene qua. Ad altissimo livello. Nonostante tutto. Ma che fatica e che rabbia pensare quanto di più si potrebbe fare”.
Don Alfonso 1890 a Sant’Agata
Futuri progetti, Medio Oriente, conclusioni
Dopo tutta questa carrellata abbiamo chiesto a Ernesto Iaccarino in quale area vorrebbe andare a far business adesso, dopo tutte queste esperienze. E la risposta è stata inequivocabile: il Medio Oriente. “Ma non dico nulla perché sono scaramantico” ci spiega facendoci capire che c’è più di qualche trattativa in corso “è una parte del mondo che sta spingendo molto sulla modernità e mi piace di confrontarmi in città ultramoderne. Dopodiché io parlo solo dopo che firmo”. E invece, ultima domanda, in quale di questi paesi si ricava la più grande soddisfazione economica: “a Macao e negli Stati Uniti ci stiamo togliendo delle belle soddisfazioni”.
In conclusione? “In conclusione posso dire che il mio sogno quando sono tornato in azienda dopo gli anni di consulenza a Milano era aprire un ristorante all’estero e avere successo, alla fine abbiamo aperto in tutti e 5 i continenti…“.
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Fonte : Today