Un italiano ha conquistato uno dei più ambiti riconoscimenti europei nel campo dell’innovazione. Il dettaglio sorprendente? Ha iniziato come operaio a vent’anni e oggi ha realizzato un progetto che cambierà radicalmente l’industria automobilistica. Il premio è l’European Inventor Award, istituito dall’Ufficio Europeo dei brevetti (EPO). Lui si chiama Fiorenzo Dioni, ha 60 anni, con il tedesco Richard Oberle ha sviluppato una Giga Press, il macchinario per pressofusione più grande del mondo che, grazie al suo sistema di iniezione 5S, rivoluziona la produzione di auto elettriche. Come? Producendo parti più grandi con un minor numero di componenti. Il risultato? Meno costi, meno consumo energetico, meno scarti. Più sicurezza sul lavoro, più facilità di uso.
E il suo cliente principale sembra essere la Tesla di Elon Musk.
Il riconoscimento, che ogni anno premia chi propone soluzioni alle più grandi sfide dei nostri tempi non era stato vinto da un italiano dal 2017. Negli anni, ha visto 95 vincitori, di cui 5 premi Nobel.
«Sono orgoglioso del lavoro che abbiamo fatto e dei giovanissimi che fanno parte del team. È un’invenzione che darà un futuro a loro e all’Italia. E questo premio è un ulteriore motivo di soddisfazione».
Intervisto Dioni a poche ore dalla vittoria. Si trova a Malta per ritirare il premio, ma il continuo riferimento è alla sua squadra. «Li ho presi fuori dalla scuola e sono cresciuti tantissimo».
Forse in questi giovani rivede la sua storia. Che è quella di un ragazzo curioso che ha imparato presto l’arte di arrangiarsi. «Ho perso mio padre quando avevo undici anni. Mia madre, in quel momento, era in cassa integrazione a zero ore. Finite le medie, ho dovuto arrangiarmi per avere qualche soldo in tasca. Quest’indipendenza mi ha portato a essere curioso e a interessarmi di tutto ciò che mi capitava e per il quale vedevo un possibile sviluppo».
Frequenta l’Itis di Benedetto Castelli di Brescia, a scuola non è uno di quelli che subisce le materie. Anzi. «Ho sempre proposto alternative a quello che mi veniva insegnato, soprattutto nelle materie tecniche. E ciò mi ha creato qualche problemino con i professori. Qualcuno mi diceva che quando sarei entrato nel mondo del lavoro, qualche fabbrica l’avrei fatta esplodere prima o poi».
Di Brescia, capitale mondiale delle presse. A 19 anni è già al lavoro. Il suo campo è fin da subito proprio quello: presse per lo stampaggio dei termoplastici prima, e per la pressofusione poi. Oggi è responsabile dell’area tecnica di Idra, eccellenza mondiale della pressofusione, dove lavora fin dagli anni 2000. «In tanti mi chiamano ingegnere quasi istintivamente, ma ho solo un diploma di scuola superiore, scuola tra l’altro per nulla semplice. L’università non ho potuto permettermela: c’erano altre priorità a quel tempo e poi il lavoro mi ha assorbito completamente».
Della sua invenzione parla in modo chiaro. «Abbiamo creato una pressofusione, che noi chiamiamo Giga Pressa: si tratta di una macchina che trasforma le leghe leggere, soprattutto alluminio, ma anche magnesio, rame e ottone. E dallo stato liquido dà loro una forma. Questo liquido viene iniettato in uno stampo che ha la forma prestabilita e crea pezzi importanti delle automobili o di truck e pickup».
L’idea è nata per rispondere a un bisogno del mercato, dieci anni fa. «Era il 2015, avevamo progettato una pressa per 4.200 tonnellate ma un cliente americano importante ci ha chiesto una forza superiore, investendo nella nostra pressa. L’abbiamo così sviluppata dal punto di vista tecnico e poi fatta su misura per il cliente».
Grande azienda americana che produce auto elettriche: è la Tesla? «Per un accordo di riservatezza (NDA) che devo rispettare, non posso rispondere a questa domanda».
Qual è il vantaggio di una Giga press? «Produce le strutture frontali e posteriori delle automobili, note come rear underbody e front underbody, facendo solo 2 o 3 pezzi. Un processo di lavorazione che tradizionalmente richiede invece la lavorazione di circa 70 pezzi. Che vanno tagliati, assemblati, montati. Alleggerita, l’automobile consuma meno, diventa più sostenibile, più sicura, più facile per la manutenzione, e costa anche meno».
Il mercato intanto sta cambiando. «In ordine ci sono già 30 di Giga Press: America e Asia stanno rispondendo bene a questa tecnologia. L’Europa è ancora un po’ ferma, anche se la Volvo installerà presto le nostre macchine per la produzione di autoveicoli elettrici».
Inventore prolifico, Dioni ho già firmato alcuni brevetti, relativi a processi speciali. « Sono un progettista cresciuto con l’idea che fosse fondamentale condividere le mie invenzioni con chi le utilizza, le assembla e le smonta per la manutenzione. Ho sempre considerato questi aspetti come prioritari. Dal punto di vista tecnologico, l’errore più grave che un progettista può commettere è pensare: “L’ho disegnato così, quindi va bene così.” In realtà, è necessario un approccio condiviso e aperto alla critica. Anche un semplice operaio, con una vita di esperienza, può offrire suggerimenti preziosi. C’è molto da imparare da questo tipo di interazione.
Dico sempre ai miei collaboratori, che chiamo affettuosamente “i miei ragazzi”, che in un mondo in cui si paga tutto, ci sono due cose fondamentali che restano gratuite: i nostri sogni e le nostre menti. Questi sono gli strumenti con cui possiamo sostenere l’innovazione. Sognare sempre e poi avere una mente aperta: che significa perseguire le proprie convinzioni ma essere anche capaci di ascoltare, non solo di sentire. Gli inventori sono obbligati a migliorare continuamente la tecnologia, rendendo semplice ciò che è complesso».
E alla domanda “perché lo fai?”, risponde: «La passione per ciò che faccio ha sempre superato di gran lunga tutto il resto. Con l’età, la mia curiosità si è focalizzata su meno cose, ma quando incontro una novità, esploro ogni minimo dettaglio per conoscerla, per poi utilizzare ciò che ho appreso per nuove idee. Questo vale anche al di fuori della mia dimensione professionale: amo l’arte, la letteratura e la musica. E quando scopro qualcosa di nuovo, mi appassiono profondamente. Imparare, per me che non ho fatto l’università, resta qualcosa di sacro».
Fonte : Repubblica