Perché tante canzoni dell’estate sono duetti?

La canzone più ascoltata di quest’estate, Sesso e samba, è un duetto, tra Tony Effe e Gaia. E anche Storie brevi di Annalisa e Tananai, ovvero un pezzo che dimostra che esistono tormentoni che non sono enormi testacoda (ma posso perfino rifarsi a gruppi come i Baustelle), è un feat., con la stessa Annalisa ospite tra l’altro in Beatrice di Tedua e in Istinto animale di Don Joe, con Gué ed Ernia. E poi: Alessandra Amoroso e BigMama cantano Mezzo rotto, Cinema spento mette insieme Ana Mena e Dargen D’Amico, Fedez e Emis Killa hanno firmato Sexy shop, Peyote degli Articolo 31 coinvolge Fabri Fibra e Rocco Hunt, eccetera. Insomma, perché tante hit estive di generi diversi ‒ ammesso che la hit estiva non sia un genere “a sé stante” ‒ comprendono almeno un duetto? È un’epidemia?

La rappizzazione del mondo

Partiamo da un’ovvietà: i duetti, nella musica italiana, esistono da sempre, e questa è peraltro una tendenza che cresce da anni; eppure, contando che neanche prima gli artisti fossero tutti davvero così amici da cantare insieme, ma ci fossero anche altri interessi, la tendenza negli ultimi anni è aumentata tanto. Fino a vent’anni fa, un’accoppiata era più o meno sempre una notizia, con casi eclatanti, come Si può dare di più di Ruggeri, Tozzi e Morandi, che vista l’eccezionalità della cosa parteciparono a Sanremo per celebrarla (1987), o sempre Morandi che l’anno dopo, per rilanciare ancora la sua immagine, collaborò con Lucio Dalla ‒ stesse intenzioni e successo ancora più grande, nel 1998, per Celentano, che con Acqua e sale, con Mina, rinasce.

A farci fare l’abitudine ai duetti ‒ oggi si danno quasi per scontati, a ogni nuovo disco è una gara a chi li indovina in cerca degli spoiler dei protagonisti ‒ è stato ciò che è successo al mainstream negli ultimi dieci anni. Con il rap che si è mangiato gran parte della torta a disposizione, anche le sue dinamiche, sotto il termine ombrello di “urban”, hanno invaso il mondo del pop stesso. E se l’hip hop, da sempre, è competizione, certo, ma anche “scena”, unione tra gli artisti che si spalleggiano gli uni con gli altri nei loro album, quell’immaginario ha contagiato ciò che c’era prima, sdoganando feat. non per forza, ecco, eccezionali, intesi in senso proprio di occasione. Le collaborazioni sono diventate, ecco, un’unità di misura.

A questo va aggiunto che, proprio per aiutarsi in questa scalata, l’hip hop si è avvalso di alcune collaborazioni con popstar ‒ dallo stesso Fabri Fibra con Gianna Nannini a i Club Dogo con Arisa, per tornare alle origini ‒ che hanno cristallizzato la prassi, tanto che oggi l’accoppiata più gettonata è proprio quella tra rapper e popstar. A margine, c’è da citare qualche pezzo che, nella riluttanza generale, ci ha visto lungo, in un momento in cui la hit estiva non era così codificata. È il caso di una Roma-Bangkok con Baby K e Giusy Ferreri (2015), un sempreverde della bella stagione: considerando che il mercato non gradisce i cambiamenti, né li gradiscono gli ascoltatori (o almeno, è ciò di cui sono convinte le etichette), il suo successo è una legittimazione a proseguire su quella strada.

Un gioco al ribasso

Di nuovo: non è che prima ci dovesse essere chissà quale vissuto condiviso tra gli artisti coinvolti in un duetto, ma è chiaro che questo gioco al ribasso ha ridotto ancora di più il margine, con pezzi che nascono nel giro di un paio di pomeriggi che due cantanti, che magari si conoscono a malapena, su imbeccata della casa discografica di turno si trovano a passare insieme in studio; non c’è niente di male, sono i ritmi e le modalità del 2024, e va bene così, non c’è bisogno di intavolare, qui, discorsi su come tutto ciò incida o meno sulla qualità di un pezzo.

Ma un elemento di discrepanza con il passato, più prosaico, lo gioca la diffusione di massa delle piattaforme di streaming, o meglio il culto dei numeri sviluppato intorno. In una comunicazione che punta a esaltare i “sold out”, le certificazioni che ottengono i vari artisti e la posizione che ricoprono nelle classifiche di ascolto, e con l’estate che è ormai, per inerzia, la stagione più adatta insieme al post-Sanremo per combattere questo corpo a corpo, i feat. sono l’uovo di Colombo della faccenda: permettono di unire le forze di (almeno) due artisti, le loro bocche da fuoco in termini di ascolto. E cioè: se Tizio ne ha tanti di base, Caia altrettanti e ci si fanno bene i conti, stando attenti a pestarsi i piedi il meno possibile, gli streaming del feat. in questione diventano, semplicemente, tantissimi.

Ancora: si apre una prateria in termini di possibilità d’incrociare le fanbase reciproche, che sia questione di follower, passaggi in radio o in generale per associazioni d’immagini ‒ collaborare con un certo artista X, per Y che ha un determinato tipo di background, magari rappresenta una qualche legittimazione, o chissà che altro. Per cui, finché il pubblico non darà segni di stanca, è probabile che andremo avanti così ancora a lungo: il contesto lo premia, mettiamolo in conto.

Fonte : Today