Ariane 6 pronto a volare. L’Europa vuole riprendere l’autonomia nello spazio

L’Europa è a un passo dal riconquistare l’autonomia di accesso allo spazio, quella che manca ormai da un anno, da quando l’ultimo razzo continentale si è staccato dal suolo. Questa sera Ariane 6, il nuovo vettore dell’Agenzia spaziale europea (Esa), decollerà dallo spazioporto di Kourou, nella Guyana francese, per il suo volo inaugurale. La finestra di lancio si apre alle 20 e si chiude alle 24 ora italiana, il tutto durerà circa due ore e 40 minuti. Ariane 6 raggiungerà l’orbita per rilasciare 11 tra cubesat, esperimenti scientifici e dimostratori tecnologici di università, aziende e agenzie spaziali. 

C’è sempre apprensione quando si attende alla prova qualcosa che non ha mai volato, questa volta si aggiunge alle aspettative e all’attesa, prolungata di ben quattro anni, tanto è il ritardo sulla tabella di marcia. Nel frattempo, in coda, ci sono missioni istituzionali e un cliente eccezionale: Amazon. Soprattutto, c’è la speranza di uscire da questo limbo, durante il quale sia l’Esa che i singoli stati sono stati costretti a dirottare importanti (e in certi casi strategiche) missioni europee, su lanciatori americani: i Falcon 9 di SpaceX, che sarà diretto concorrente proprio di Ariane 6.

Un vettore “pesante”

Grandi satelliti o decine di micro e nanosat, in orbita bassa, geostazionaria o fino alla Luna. Ariane 6 è progettato per essere potente (anche se non straordinariamente più potente del predecessore), flessibile ma più economico. A seconda della configurazione, può portare da 10 a 21 tonnellate in orbita bassa (Ariane 5, per fare un confronto, arrivava a 20), come quella in cui si trova la Stazione spaziale internazionale (Iss); da 4,5 a 11,5 tonnellate in orbita geostazionaria (quella dei satelliti tv, e molti meteo) molto più lontana, a circa 36 mila chilometri dalla Terra. Ma è anche un traghettatore verso la Luna, con carichi attorno alle 4-5 tonnellate, utile per la consegna di cargo, rifornimenti, esperimenti scientifici. 

Sulla rampa del razzo Ariane 6. Bernardini: “Ecco i lanciatori del futuro, anche per equipaggi”

Ha due configurazioni: Ariane 62 (quella scelta per il debutto) e Ariane 64, a seconda di quanti booster laterali, due o quattro, sono applicati. È composto da due stadi. Il primo ha un motore Vulcain 2.1 alimentato a idrogeno e ossigeno, un’evoluzione del Vulcain 2 di Ariane 5. Per staccarsi da terra, però, la maggior parte dell’energia sarà fornita proprio dai booster P120c, costruiti da Avio a Colleferro, vicino a Roma, che bruciano invece combustibile solido. Dopo un minuto e 15 secondi il Vulcain si spegne e avviene la separazione: da qui in avanti a continuare la spinta è il Vinci. Il motore sviluppato per Ariane 6 si può riaccendere fino a quattro volte per consegnare più satelliti su orbite differenti, guadagnando così in flessibilità per far fronte alle necessità di clienti che intendono lanciare satelliti su piani orbitali diversi. L’ultima fiammata è destinata al rientro in atmosfera, per non lasciare detriti.

Clienti, ritardi e rinunce

In quanto erede di Ariane 5, la cui affidabilità è stata un vanto di ArianeGroup per 35 anni, Ariane 6 ha goduto subito di grande fiducia “a scatola chiusa”. Ancora prima di spiccare il volo, infatti, ha già un portafoglio ordini di una trentina di lanci prenotati. Molti per clienti istituzionali, ma ben 18 di questi saranno per un unico committente: Amazon ha infatti scelto Ariane 6 per la consegna in orbita di circa 700 satelliti della mega costellazione di internet satellitare a banda larga Kuiper. Si tratta in tutto di 18 lanci. Un cliente importante al quale dare finalmente risposte, considerati i ritardi di un veicolo approvato nel 2014 e che doveva essere varato nel 2020.

In quattro anni difficoltà tecniche e di sviluppo, e in mezzo pure una pandemia, hanno complicato tutto, per un progetto al quale spetta il compito di essere affidabile, non certo all’avanguardia. Quella è destinata ad avventure future, con lo sviluppo di motori e stadi di razzi in grado di tornare a terra per essere riutilizzati (si chiamano Themis e Prometheus), per i quali SpaceX però è avanti ben più di un decennio. Oppure a una startup figlia di ArianeGroup, totalmente made in France: MaiaSpace. Nel frattempo, c’è chi invece ha annullato il contratto. Non si tratta di un cliente qualsiasi, ma EumetSat, l’organizzazione intergovernativa che gestisce i satelliti meteo europei. Giusto una decina di giorni prima del volo inaugurale, ha annunciato di aver “spostato” il lancio di un proprio satellite (previsto nel 2025) da Ariane 6 a SpaceX. 

Rappresentazione artistica dello stadio superiore di Ariane 6 con il motore Vinci - Credits: ESA - D. Ducros

Un lanciatore “francese”

Ariane 6 è ufficialmente un lanciatore europeo, finanziato dall’Esa e sviluppato e costruito da ArianeGroup, azienda francese (Airbus e Safran) nei suoi siti in Francia e Germania. Sono questi due Paesi a partecipare, in maniera più massiccia, alle spese: rispettivamente 55,6% e 20%. Un ruolo importante è ricoperto dall’Italia con il 7,7%, che si traduce nella fornitura dei booster laterali P120c che si accendono al decollo, ed elementi della turbopompa dell’ossigeno del secondo stadio. Sono in tutto 13 gli Stati membri dell’Esa che vi contribuiscono. È un programma strategico sia per l’Agenzia spaziale, che i singoli stati di tutto il continente: il servizio di lancio servirà a portare in orbita asset importanti e in certi casi strategici (tecnologia militare e civile) per il governo del territorio e la Difesa. E deve stare sul mercato, non esattamente un’impresa facile.

I ritardi di Ariane 6 e l’inflazione hanno avuto una pesante ripercussione sui costi di sviluppo, che si avvicinano ormai ai 4 miliardi di euro. E altri se ne aggiungeranno in futuro. I tre principali stati che lo supportano hanno infatti richiesto fino a 340 milioni all’anno per “operare” il razzo. In pratica, per ridurre i costi a cui vengono venduti i lanci sul mercato, assieme a uno sforzo dell’industria per ridurre i prezzi. Aiuti pubblici per tenere il passo di SpaceX (ci sono anche 21 milioni per Vega C, il razzo leggero dal cuore italiano). Non va dimenticato, comunque, che pure la compagnia di Elon Musk gode di grandi vantaggi perché vende lanci in patria (a Nasa e Difesa) a prezzi molto più alti e si può permettere di essere competitiva sul mercato, operazione che gli addetti ai lavori, soprattutto europei, chiamano senza mezzi termini dumping dei prezzi. 

Ma questi ulteriori 340 milioni hanno fatto storcere il naso a molti, per due motivi: il primo è che a sostenere il progetto di Ariane 6, che a quasi parità di potenza ha l’ambizione di essere il 40% meno costoso, c’era la promessa che si sarebbe sostenuto sul mercato senza ulteriori sussidi. Inoltre, questo è un momento storico in cui si devono cercare altre strade. L’Esa, infatti, ha annunciato una competizione europea per startup che sviluppano razzi spaziali. L’idea è di liberalizzare un settore che nel nostro continente è da decenni ormai ad appannaggio di uno o due attori: ArianeGroup e Avio. E anche questa è vista come una causa della crisi dei lanciatori degli ultimi due anni (Vega C è a terra dopo aver fallito il secondo lancio, perdendo due satelliti Pleiades francesi, dovrebbe tornare a volare entro la fine del 2024).

L’Esa in futuro farà come la Nasa con SpaceX, usufruirà di un servizio di lancio da acquisire sul mercato dal miglior offerente. Purché sia europeo. Le aziende spaziali chiedono con forza che l’Europa, soprattutto quella delle istituzioni, compri tecnologie e servizi spaziali delle proprie aziende, una sorta di protezionismo, come quello che praticano gli americani. La speranza è che la concorrenza, nei prossimi anni, faccia sentire i suoi benefici. Ci vorrà un po’, nel frattempo, è il momento di Ariane 6.

Fonte : Repubblica