Meccanismo di Anticitera, era (anche) un calendario lunare

La macchina (o meccanismo) di Anticitera è il più antico strumento calcolatore di cui si abbia notizia. Fu rinvenuto nel 1900 da un gruppo di pescatori in rotta, che ripararono sull’isola di Anticitera, nel mar Ionio, a sud del Peloponneso, e poco al largo rinvenirono il relitto di una nave romana naufragata quasi due millenni prima, carica di statue, oggetti d’arte e altri oggetti preziosi. Sulle prime gli scienziati, concentrati a studiare il relitto e i tesori che conteneva, non diedero troppa importanza a quello che sembrava solo un blocco di pietra: solo due anni più tardi, l’archeologo Valerios Stais si accorse che sotto le incrostazioni si celava una specie di meccanismo rotante e altri frammenti metallici. Un marchingegno simile a un orologio, composto di ruote dentate, incastri e iscrizioni, che fu identificato, per l’appunto, come un sofisticatissimo calcolatore analogico: da allora la comunità scientifica lo ha studiato in lungo e in largo, e lo ha addirittura ricostruito, svelando tutti i dettagli sul suo funzionamento. E la cosa più sorprendente è che ancora oggi, oltre un secolo dopo la sua scoperta, continuano a emergere dettagli sempre nuovi. L’ultimo, in ordine di tempo, è contenuto in uno studio pubblicato sulle pagine della rivista The Horological Journal da due astrofisici della University of Glasgow, che rappresenta anche un caso interessante di serendipità: i due scienziati, ricercatori nel campo delle onde gravitazionali (un fenomeno che con la macchina di Anticitera c’entra ben poco, e di cui certamente gli antichi greci non erano a conoscenza), hanno infatti scoperto, quasi per caso, che uno degli ingranaggi del meccanismo seguiva il calendario lunare, cosa finora sconosciuta.

Un “planetario” in scatola

Oltre ai tre reperti principali, al momento del rinvenimento la macchina si presentava in realtà sotto forma di un “puzzle” composto da oltre 90 frammenti minori. Con pazienza, i ricercatori misero a posto ogni tessera e vennero a capo della struttura originale del congegno: si trattava di un blocco delle dimensioni di circa 30 centimetri per 15, dello spessore di un libro, contenente una serie di ruote dentate e iscrizioni, per un totale di oltre 2000 caratteri. Attualmente, il reperto è conservato al Museo archeologico di Atene insieme a una sua ricostruzione moderna. La scoperta del funzionamento della macchina si deve soprattutto a Derek de Solla Price, che nel 1951 sottopose a un’attenta analisi ogni pezzo del congegno e notò le corrispondenze con il planetario di Archimede, attribuendo quindi la paternità della macchina al matematico siracusano.

Gli studi successivi sul meccanismo di Anticitera

Come dicevamo, dopo il lavoro di Price la comunità scientifica ha continuato ad analizzare la macchina, sfruttando anche le nuove tecnologie di analisi che nel frattempo diventavano disponibili, per cercare di svelarne tutti i segreti. Grazie alle scansioni a raggi X, si riuscì per esempio a comprendere l’esatta posizione dei frammenti, creando connessioni tra ruote e dentelli e comprendendo che essi servivano a calcolare il moto di Sole, Luna e pianeti nei diversi giorni dell’anno: “Le scansioni computerizzate ai raggi X – si legge per esempio in uno studio pubblicato nel 2021 sulla rivista Naturehanno svelato diverse iscrizioni che descrivono il moto del Sole, della Luna e di tutti e cinque i pianeti conosciuti all’epoca”. Un altro lavoro, pubblicato sulla rivista del British Horological Institute sempre nel 2021, aveva svelato che una serie di fori posti a distanze regolari sotto una delle ruote del meccanismo (di cui purtroppo ci è rimasto solo un frammento) era stata etichettata con i nomi dei mesi egiziani incisi in greco antico. Sempre quest’ultimo lavoro descriveva la macchina di Anticitera come “un congegno interdisciplinare, una creazione geniale che combina concetti dell’astronomia babilonese, della matematica dell’Accademia di Platone e delle teorie astronomiche dell’antica Grecia”. Un altro studio ha addirittura scoperto un meccanismo in grado di prevedere le eclissi di Luna e un piccolo quadrante per la datazione dei giochi olimpici.

Il nuovo lavoro

Il lavoro appena pubblicato aggiunge altri interessanti dettagli alla nostra conoscenza della macchina, e in particolare sulla disposizione dei fori di cui parlavamo prima. “I fori – dicono gli autori – sono posizionati con una precisione che ha certamente richiesto un’abilità manuale e una conoscenza astronomica molto approfondita”. Come accennavamo, i ricercatori hanno analizzato la macchina usando due tecniche di analisi statistica “prese in prestito” dal loro campo di ricerca, che è quello delle onde gravitazionali, di cui si sono serviti per cercare di inferire il numero e la posizione dei fori mancanti. In questo modo, hanno scoperto che l’anello presentava probabilmente 354 buchi e non 365, ossia che servisse per tener traccia del calendario lunare e non di quello solare. “Verso la fine dell’anno scorso – racconta ancora Graham Woan, uno dei due autori del lavoro – un collega mi ha mostrato i dati recuperati da Chris Busidelic, uno youtuber che stava cercando di costruire una replica dell’anello incompleto e di capire quanti buchi contenesse. Mi è sembrato un problema interessante, un problema che avrei potuto provare a risolvere con approcci diversi durante le vacanze di Natale, quindi ho usato alcune tecniche statistiche per rispondere alla domanda di Busidelic”. Alla questione si è appassionato anche il collega Joseph Bayley, che ha proposto di servirsi di un metodo usato per analizzare i segnali di Ligo, l’interferometro usato per la rilevazione delle onde gravitazionali. In questo modo, i due hanno ottenuto un set probabilistico di risultati: “La configurazione più probabile per l’anello è quella di 354 o 355 buchi, praticati su un cerchio di 77,1 millimetri di raggio, con una stima di errore di circa un terzo di millimetro. La nostra analisi, inoltre, ha mostrato che i fori erano stati praticati con precisione straordinaria: l’‘errore’ medio sulla posizione di ogni buco era di appena 0,028 millimetri”.

Fonte : Wired