video suggerito
Vittorio Oppizzi, responsabile dei programmi MSF in Sudan: “Non vediamo una risposta adeguata alla crisi umanitaria. Lo scorso aprile, dopo la Conferenza di Parigi, molti soggetti hanno assunto impegni che però al momento non si sono ancora concretizzati”.
Intervista a Vittorio Oppizzi
Responsabile dei programmi MSF in Sudan.
Mentre gli occhi del mondo intero sono puntati sulla guerra a Gaza e su quella in Ucraina c’è un luogo in cui si sta consumando la più grave crisi umanitaria da decenni a questa parte: è il Sudan, Paese dell’Africa sub-sahariana in cui da quasi 15 mesi si sta combattendo una guerra civile che vede contrapporsi da una parte l’esercito sudanese (SAF) e dall’altra le forze paramilitari Rapid Support Forces (RSF). A farne le spese, come sempre, la popolazione civile in un quadro che il responsabile dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari Martin Griffiths ha definito di “orrore oltre ogni immaginazione“.
In Sudan fame “catastrofica” per 755mila persone
Qualche numero: se nella Striscia di Gaza la situazione è considerata “catastrofica” per la presenza – secondo l’Integrated Food Security Phase Classification (IPC) – di 495mila persone ridotte alla fame per “estrema carenza di cibo”, in Sudan quelle stesse condizioni interessano 755.262 persone, mentre altre 8,5 affrontano un’emergenza alimentare di “fase 4”, definita come uno stato in cui “i livelli di malnutrizione acuta e di malattia sono eccessivamente elevati e il rischio di morte correlata alla fame è in rapido aumento”.
“Questi sono numeri sbalorditivi. Sono oltre ogni immaginazione”, ha detto Griffiths. “Penso che storicamente sia un momento enorme”. La carestia sudanese, secondo il funzionario dell’agenzia ONU, potrebbe essere persino peggiore di quella in Etiopia, che tra il 1983 e il 1985 uccise oltre 1 milione di persone.
Leggi anche
Ucraina, bombe su edifici a Kharkiv: morti e feriti. Zelensky: “Servono decisioni forti degli alleati”
MSF: “Inaccettabile che in Sudan non ci sia più quasi nessuna organizzazione internazionale”
“La crisi in Sudan è una delle peggiori che il mondo abbia mai visto da decenni. Prima dell’inizio della guerra, c’erano decine di organizzazioni internazionali che rispondevano in tutto il Paese. Ora non ce n’è quasi nessuna. Per una crisi di questa portata è inimmaginabile e inaccettabile, e questo livello di negligenza internazionale è scioccante”, ha dichiarato Christos Christou, presidente internazionale Medici Senza Frontiere.
Tra le organizzazioni che non hanno mai lasciato il paese c’è proprio MSF, Ong attualmente lavora in più di 30 strutture sanitarie in 9 stati sudanesei. MSF opera sia nelle aree controllate dal governo e che in quelle sotto il controllo delle RSF e il coordinatore delle attività è l’italiano Vittorio Oppizzi, che dalla sede di Ginevra spiega a Fanpage.it: “Quello in Sudan è un conflitto iniziato nell’area urbana della capitale, Khartoum, ed ha costretto milioni di persone dell’area metropolitana a lasciare le loro case. La guerra è stata fin da subito molto violenta: non sta risparmiando nessuna delle infrastrutture civili e la capitale è tuttora una città contesa, in cui si combatte ogni giorno e in cui le linee del fronte si spostano in continuazione. L’impatto di quasi 15 mesi di guerriglia urbana sulla popolazione si può facilmente immaginare”.
Vittorio Oppizzi
“Ospedali presi d’assalto dagli sfollati”
Il conflitto ben presto si è allargato ad altre aree del Sudan portando a nuovi sfollamenti di popolazione. Se nei primi mesi le persone si sono spostate soprattutto ai margini di Khartoum, nella speranza di poter rientrare nelle loro case, dopo l’inizio dei combattimenti anche nello stato di Gezira e in Darfur la situazione umanitaria è ulteriormente deteriorata: “Oggi – spiega Oppizzi – il sistema sanitario sudanese è al collasso e si calcola che appena un terzo degli ospedali abbia mantenuto un qualche livello, seppur minimo, di funzionalità. Ciascuna di queste strutture è ormai presa d’assalto da persone sfollate, alle quali garantiamo non solo chirurgia di guerra, ma anche cure nei reparti ‘ordinari’ come maternità e pediatria”. Medici e infermieri sono costretti a lavorare letteralmente sotto le bombe: solo nelle ultime settimane sono stati ripetutamente bersagliati anche gli ospedali di El Fasher e Wad Madani, mentre si registrano anche episodi di furti, saccheggi, sequestri del personale, oltre a numerosi altri incidenti e pressioni. Lo scorso 11 maggio un missile lanciato dalle Forza Armate Sudanesi (SAF) ha colpito un’area a 50 metri dall’ospedale pediatrico di El Fasher, supportato da Medici Senza Frontiere (MSF). L’attacco ha causato il crollo del tetto dell’unità di terapia intensiva, provocando la morte di 2 bambini in cura e di almeno un loro accompagnatore.
L’impatto della guerra in Sudan sull’accesso al cibo
Alle conseguenze della guerra si sommano poi quelle della fame. “Il conflitto – spiega ancora Oppizzi – ha peggiorato ulteriormente la situazione di sicurezza alimentare e nutrizionale. A questa emergenza stiamo rispondendo ampliando la capacità dei centri nutrizionali in diverse strutture sanitarie. Ad esempio a Geneina e nelle altre zone rurali del Darfur occidentale i bisogni sono enormi e soprattutto perché c’è una drammatica mancanza di altri attori. Se subito dopo lo scoppio della guerra ONU e altre Ong sono state evacuate, oggi operare è possibile ma non vediamo una risposta adeguata. Lo scorso aprile, dopo la Conferenza di Parigi, molti soggetti hanno assunto impegni che però al momento non si sono ancora concretizzati”. Il risultato è che attualmente si registrano 2,5 morti al giorno per malnutrizione ogni 10mila persone nel campo di Zamzam (Darfur settentrionale). MSF ha sostenuto da sola le cure per oltre 30mila bambini con malnutrizione acuta in un anno.
MSF: “Non c’è interesse politico ad affrontare questa crisi. Dov’è l’ONU?”
I sudanesi in fuga dai luoghi più caldi della guerra – e dalla fame ormai estrema – hanno cercato rifugio non solo in altre regioni del Paese considerate ancora sicure, ma anche in Sud Sudan (circa 600mila persone) e in Ciad (circa mezzo milione). In entrambi i Paese è intervenuta Medici Senza Frontiere: “In Sud Sudan avevamo già tredici progetti, mentre in Ciad abbiamo dovuto montare immediatamente ospedali da campo per far fronte all’emergenza causata dall’arrivo di 500mila profughi. Abbiamo fatto il nostro dovere, quello che prevede la nostra missione. Ma non abbiamo visto lo stesso impegno da parte di altri attori; mentre possiamo comprendere che l’operatività in Sudan sia limitata a causa del conflitto, non comprendiamo per quale ragione siamo dovuti essere noi a distribuire migliaia di zanzariere e materiale per costruire ripari d’emergenza in Ciad dopo oltre un anno di conflitto. Stiamo parlando di decine di migliaia di persone che non hanno ricevuto alcuna assistenza in un Paese in cui non ci sono limiti di accesso per le agenzia dell’ONU e per le altre organizzazioni umanitarie che dovrebbero fare il loro lavoro. Dov’è l’ONU? Dove sono altre Ong? Evidentemente non c’è l’interesse politico per affrontare questa crisi”.
Fonte : Fanpage