Perché il decreto carceri non risolverà la situazione di emergenza dei penitenziari italiani

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera a un nuovo decreto in materia di carceri, un pacchetto di misure urgenti per fronteggiare la crisi del sistema penitenziario italiano. Il provvedimento giunge in risposta all’emergenza che sta investendo gli istituti di pena, afflitti da un cronico sovraffollamento e da un drammatico record di suicidi registrato nei primi sei mesi del 2024.

Tra le misure cardine del decreto spicca l’assunzione di mille nuove unità per il corpo della polizia penitenziaria, un’iniezione di forze fresche che mira a rafforzare la sicurezza e la gestione degli istituti. Parallelamente, il governo punta a snellire le procedure per concedere l’uscita anticipata dal carcere ai detenuti che ne hanno diritto, una mossa che potrebbe alleviare la pressione sulle strutture sovraffollate.

Il decreto prevede inoltre un ampliamento delle possibilità di comunicazione per i detenuti, aumentando il numero di telefonate consentite. Questa misura punta a migliorare il benessere psicologico dei reclusi e a mantenere più saldi i legami con l’esterno. Una novità significativa è l’istituzione di un albo di comunità adibite alla detenzione domiciliare, che potranno accogliere alcune tipologie di detenuti come quelli con residuo di pena basso, i tossicodipendenti e quelli condannati per determinati reati, e in cui potranno scontare il fine pena. L’intervento va nella direzione di consentire ai molti detenuti, soprattutto stranieri e privi di residenza ufficiale, di avere un luogo per la detenzione domiciliare.

La risposta delle associazioni

Fonti del governo definiscono il decreto – battezzato “carcere sicuro” – come “una prima risposta concreta” alla situazione critica delle carceri. Mentre lo stesso ministro della Giustizia Carlo Nordio ha parlato dell’intervento come una misura volta all'”umanizzazione carceraria“. Ma secondo le associazioni di settore le misure non saranno affatto sufficienti a invertire la tendenza e a migliorare le condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari italiani. Una delle critiche più forti arriva da Antigone, tra le più autorevoli associazioni che si occupa dei diritti dei detenuti. In una nota diffusa ieri, il presidente dell’associazione Patrizio Gonnella ha definito le misure proposte “afflitte da minimalismo” e inadeguate. “Queste misure non incideranno sul sovraffollamento“, ha dichiarato il presidente. “Sarebbe stato necessario ben altro per produrre una controtendenza nella crescita dei numeri o nella qualità della vita penitenziaria“.

Sotto la lente d’ingrandimento di Antigone finiscono diversi punti del decreto. L’aumento delle telefonate consentite ai detenuti, da quattro a sei al mese, viene giudicato insufficiente. “Per contrastare l’isolamento penitenziario e incidere sulle cause dei suicidi sarebbe stato necessario prevedere telefonate quotidiane“, sottolinea l’associazione, che critica anche i tempi di attuazione della misura, prevista non prima di sei mesi. Perplessità vengono espresse anche sull’intervento in materia di liberazione anticipata, ritenuto troppo timido, e sull’assunzione di nuovo personale. “Assumere sempre e solo poliziotti non basta“, afferma Gonnella, auspicando invece l’aumento di figure come educatori, mediatori e personale sanitario.

L’associazione, inoltre, esprime inoltre forti dubbi sul progetto di inviare 85 agenti in Albania per gestire una nuova struttura detentiva, definendolo “irriguardoso” per chi lavora in condizioni difficili in Italia e un pericoloso passo verso “l’esternalizzazione della detenzione“. Con 49 suicidi registrati dall’inizio dell’anno e un sovraffollamento definito “ingestibile”, Antigone ribadisce l’urgenza di interventi più incisivi. Il monito è chiaro: senza misure strutturali, il rischio è che un’altra estate passi “invano”, lasciando irrisolte le criticità che affliggono il sistema carcerario italiano.

Fonte : Wired