Da 5 a 10mila euro per una storia su Instagram, 10-20mila per un post su TikTok e da 25 a 75mila per un video su YouTube. In media e per i creator più grandi, anche se sappiamo ormai che per un contenuto sponsorizzato e condiviso sui social c’è chi può arrivare a chiedere anche molto, molto, molto di più. Anche un milione di euro.
Per più o meno tutti gli altri valgono le cifre che si ricavano dal nuovo listino dei prezzi dell’influencer marketing stilato da DeRev, società di strategia e comunicazione digitale, dopo quelli del 2022 (si consulta qui) e del 2023 (che è questo): è la fotografia di un mercato oggettivamente in salute, che cresce nonostante che (come ampiamente previsto) i compensi degli influencer più grossi siano in flessione.
Qual è il social dove si guadagna di più?
È innegabilmente una conseguenza del caso Ferragni, con le aziende che sono “sempre più orientate verso i creator più piccoli, che producono contenuti verticali per la loro audience, garantiscono un pubblico fidelizzato e sono meno esposti alle crisi reputazionali”, come ha confermato Roberto Esposito, CEO di DeRev.
Nel dettaglio, e come si vede dalla tabella qui sopra, aumentano nel numero e nei guadagni i creator più piccoli a scapito dei grandi nomi, mentre le piattaforme coinvolte nel giro di distribuzione degli investimenti dei brand sono ormai sostanzialmente 3 (Instagram, TikTok e YouTube) con LinkedIn in potenziale ascesa e altre due (Facebook e Twitter) ormai praticamente insignificanti. In particolare, il report di DeRev evidenzia l’ulteriore flessione delle possibilità di guadagno sul più antico fra i social: Facebook è già in calo da due anni da questo punto di vista e nel 2024 sono risultati in forte contrazione (-47,4% in media) tutti i compensi per tutte le categorie di influencer.
Discorso diverso per TikTok e YouTube, dove il calo medio è del 19% per la prima e del 21% per la seconda, ma con differenze sostanziali: su TikTok è dovuto soprattutto al crollo dei compensi delle celebrità (-67,7%) e dei cosiddetti mega influencer (-40%), mentre su YouTube i guadagni risentono della contrazione dei creator medio grandi, come mid-tier e macro (rispettivamente -26,5% e -33,5%). Quanto a Instagram, cresce complessivamente come piattaforma (+3,65%) ma anche qui a stare relativamente peggio sono celebrità e mega (-31,6% e -16%), mentre tutte le altre categorie sorridono, con crescite fra il 12,5% e il 23% anno su anno.
L’influencer marketing non è in crisi
C’è da ribadire una cosa importante: non è il settore dell’influencer marketing a essere in difficoltà, sono al limite e paradossalmente in difficoltà gli influencer con le community più ampie. Lo confermano le rilevazioni: DeRev ha ribadito la previsione fatta l’anno scorso di una crescita del 13% sull’anno precedente e stima per quest’anno un ulteriore +8% degli investimenti. Questo porterebbe l’influencer marketing a raggiungere un volume d’affari di circa 375 milioni di euro, che è il 5-8% della spesa complessiva nel digital advertising.
Esposito ha sottolineato che “la contrazione dei prezzi per il singolo contenuto è dovuta a una normalizzazione del mercato: è cresciuto notevolmente il numero di creator, con la conseguenza che ci troviamo per la prima volta in un vero e proprio scenario di concorrenza, e sono i compensi dei mega influencer e delle celebrità a ridursi maggiormente, perché i brand si stanno orientando sempre di più verso creator più piccoli”. Perché lo fanno? Il motivo è che questi profili “sono in grado di offrire target più profilati e un livello superiore di fiducia da parte della community, che si traducono in un’autorevolezza di merito, fondata sulla qualità e il valore dei contenuti che producono, e non sulla fama”. Non solo: “Il fatto che non siano particolarmente noti ed esposti limita il rischio di crisi reputazionali” e anche “questa modalità di distribuzione del budget favorisce collaborazioni a lungo periodo, mentre il costo di una celebrità costringe, nella maggior parte dei casi, ad attivare partnership per singoli contenuti che si esauriscono nel giro di 48 ore dalla pubblicazione”.
Come è evidente, è insomma cambiato il rapporto sia delle aziende sia delle persone con gli influencer. E ci sono due ragioni ben precise per cui è successo: “Avvenimenti come il Pandoro Gate e il caso dei The Borderline (l’incidente in Lamborghini costato la vita a un bimbo di 5 anni, ndr) hanno inciso profondamente sul mondo degli influencer – ha ricordato Esposito – Non si sono ridotti gli investimenti o l’interesse degli utenti nei confronti dei creator, ma sono cambiate la modalità di relazione e le aspettative nei loro confronti”. In particolare è aumentata enormemente la richiesta, se non addirittura la pretesa, di trasparenza e autenticità da parte di brand e utenti, che è anche la causa di una generale perdita di interesse nei confronti delle celebrity e dei personaggi dello spettacolo in favore di creator che risultano più genuini.
LinkedIn, la piattaforma emergente
Riportando il discorso alla varie piattaforme, è interessante notare quali effetti questo cambiamento abbia avuto o stia avendo secondo gli esperti di DeRev su ognuna, iniziando da quella più antica, che è anche quella più in difficoltà.
Facebook è da tempo in fase calante sul fronte dell’influencer marketing, non per l’assenza di utenti, come erroneamente sostengono in molti, ma per il cambiamento del loro comportamento online (e pure per il contesto poco favorevole alla monetizzazione): nell’ultimo anno, quasi tutti gli influencer hanno ridotto il numero di contenuti pubblicati e sono contemporaneamente calati sia il tasso di interazione medio con i contenuti (quello che le persone fanno con gli stessi) sia il tasso di crescita medio delle pagine. Di conseguenza, il valore medio di un contenuto prodotto da creator e influencer continua a diminuire: servono 50mila follower per guadagnare appena 50 euro con un post e chi ha oltre 3 milioni di follower dimezza l’introito, dai 5mila euro del 2023 ai 2500 di oggi.
Sempre in casa Meta, all’opposto c’è Instagram, che resta il social media per eccellenza della creator economy: la tendenza è quella di preferire profili non di celebrità in senso stretto, ma di persone che vengono percepite come esperte di un determinato settore, premiando più il contenuto che il suo autore. Su Instagram si rileva un aumento del numero di post pubblicati dai creator più piccoli (+17,4%) e anche del loro tasso di interazione medio, mentre è crollato il tasso di crescita delle celebrity.
Quanto a TikTok, qui l’influencer marketing continua a crescere, sebbene si rilevi una contrazione dei compensi degli influencer, soprattutto (di nuovo) quelli con i numeri più grandi: se nel 2023 le celebrity potevano vendere una partnership su singolo video in un range compreso tra i 18mila e i 75mila euro, quest’anno sono dovuti scendere nell’orbita dei 10-20mila euro. Il tasso di interazione diminuisce per tutti, probabilmente a causa delle evoluzioni dell’algoritmo della piattaforma di ByteDance, che oggi deve gestire un numero di gran lunga maggiore di contenuti rispetto a uno o due anni fa.
Poi c’è YouTube, che resta il sito dove si possono fare più soldi (ma anche dove è più complicato lavorare, tanto che non sono pochi gli youtuber che decidono di lasciare): il calo dei compensi c’è ma in misura minore, probabilmente per il fatto che i canali più seguiti, e dunque più redditizi, lo sono non tanto per la notorietà di chi sta davanti alla telecamera ma per la qualità dei contenuti. È una fidelizzazione che fa sì che su YouTube si vedano cifre che non si vedono altrove: i creator sanno di poterle chiedere, e dunque le chiedono.
Fra le altre piattaforme, Twitter (oppure X, come lo chiama Musk) resta “del tutto irrilevante per il mercato”, complice anche un ambiente non proprio accogliente per gli investitori pubblicitari, mentre una certa attenzione va dedicata a LinkedIn. Secondo DeRev, “si tratta di una piattaforma in forte crescita che recentemente ha introdotto i primi strumenti per favorire la collaborazione tra brand e creator, che qui sono principalmente opinion leader, imprenditori e manager di spicco”. L’aspetto interessante è che, oltre a poter costruire una loro community, i creator di LinkedIn possono pubblicare contenuti in partnership con un brand, ottenere metriche più dettagliate sull’efficacia dei post e anche usare un nuovo formato di advertising per promuovere il profilo nei confronti di un determinato target.
Fonte : Repubblica