Dopo il disastroso dibattito che ha visto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden soccombere davanti alla verve dello sfidante alle prossime presidenziali Donald Trump, i democratici americani si trovano ad affrontare una situazione di enorme difficoltà (tanto più che iniziano a circolare già un sacco di teorie del complotto semiserie che ridicolizzano l’attuale presidente). In molti tra le file dei dem hanno cominciato a chiedersi se Kamala Harris, la vicepresidente che non è mai riuscita a conquistare i favori di establishment e elettori, possa avere più chance di battere il repubblicano scatenato alle elezioni del prossimo novembre. Questo, soprattutto alla luce di sondaggi che indicano come la preoccupazione e il panico per le fragilità mostrate da Biden stiano iniziando a cambiare la percezione nei confronti della sua vice, da parte di molti elettori che la vorrebbero vedere correre al posto del presidente.
La carriera politica
Con un background unico – figlia di una ricercatrice indiana di casta bramina e di un economista afro-giamaicano – Harris sembrava incarnare il sogno americano e la diversità tanto celebrata dai democratici. Tuttavia, il suo percorso politico si è rivelato più complesso del previsto. Nata a Oakland, California, quasi 60 anni fa, Harris ha vissuto in prima persona la lotta per l’integrazione. Da bambina, veniva scortata in bus verso scuole a maggioranza bianca, un’esperienza che ha plasmato la sua visione politica e sociale. Intrapresa la professione legale inizia fin da subito a guadagnarsi il suo spazio: nel 2003, punto di svolta per Harris, viene eletta procuratrice distrettuale di San Francisco, diventando la prima donna nera a ricoprire questo ruolo. Sette anni dopo, nel 2010, corona la sua carriera forense diventando procuratrice generale della California.
La sua ascesa continua nel 2016, quando entra nella storia come la prima donna di origine sud-asiatica e la seconda donna afroamericana eletta al Senato degli Stati Uniti. Questo ruolo le offre una piattaforma nazionale, preparando il terreno per la sua candidatura alle primarie democratiche per le elezioni presidenziali del 2020, durante le quali non esita di attaccare duramente il futuro presidente Joe Biden, accusandolo addirittura di razzismo in un dibattito ormai memorabile. Sebbene la sua campagna presidenziale si sia conclusa nel dicembre 2019, Harris non è rimasta lontana dai riflettori a lungo. Nonostante gli screzi, infatti, il 12 agosto 2020, Biden la sceglie come sua candidata alla vicepresidenza. E con la sua vittoria, Harris infrange un altro soffitto di cristallo, diventando la prima donna, la prima afro-americana e la prima asio-americana a ricoprire la carica di vicepresidente degli Stati Uniti. Un momento particolarmente notevole della sua vicepresidenza si è verificato il 19 novembre 2021, quando Harris ha assunto brevemente i poteri presidenziali mentre Biden era sottoposto a un esame medico sotto anestesia.
Le sfide come vicepresidente
Tuttavia, dalla sua nomina come vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris ha navigato in acque tumultuose, cercando di bilanciare le aspettative progressiste con le esigenze pragmatiche del governo. Al centro dell’agenda di Harris, la questione dell’immigrazione ha dominato i titoli dei giornali. Incaricata di gestire la crisi al confine con il Messico, la vicepresidente ha sorpreso molti con un approccio più severo del previsto. Il suo monito “non venite” rivolto ai potenziali migranti ha scatenato critiche dall’ala sinistra del partito, mentre la sua strategia di affrontare le “cause profonde” dell’immigrazione nei paesi d’origine ha mostrato risultati contrastanti. Sul fronte interno, Harris si è eretta a paladina dei diritti di voto, conducendo una battaglia contro le leggi restrittive promosse in diversi stati repubblicani. Questa crociata, sebbene apprezzata dalla base democratica, ha incontrato ostacoli significativi in un Congresso diviso.
La riforma della giustizia penale, tema caro a Harris per il suo passato da procuratrice, ha visto progressi limitati. Le sue proposte per la depenalizzazione della marijuana a livello federale hanno generato dibattito, ma poca azione concreta. In politica estera, Harris ha assunto un ruolo più visibile del previsto. I suoi viaggi diplomatici e gli incontri con leader mondiali hanno cercato di rafforzare l’immagine degli Stati Uniti sulla scena internazionale, con un focus particolare sui diritti umani e la cooperazione economica. Il mandato di Harris è stato caratterizzato anche da momenti di difficoltà. Le critiche sulla sua gestione dello staff, unite a gaffe mediatiche, hanno offuscato periodi di sua brillantezza politica.
Fonte : Wired