Qua sotto ci siamo fatti raccontare dal chitarrista Adriano Viterbini e dal batterista Fabio Rondanini come sono arrivati a quest’ultimo lavoro.
Il primo disco degli Hate My Village era una sorta d’incognita, un po’ un work in progress. Come l’avete vissuto?
Adriano Viterbini: “Il primo disco è venuto fuori perché, a un certo punto, io e Fabio abbiamo cominciato a suonare insieme e a scoprire che la cosa era più che divertente. Ci portava a immaginare possibilità e sperimentare suoni diversi rispetto a quello che avevamo provato fino ad allora. Parliamo del 2014-2015. Tutte le cose che registravamo, che provavamo a fare anche un po’ dal vivo così in modo un po’ sgangherato in realtà poi ci sembravano sempre più fresche o in qualche modo pure un po’ così originali. E quindi abbiamo pensato di accumulare materiale, metterlo in una cartella e farci una nostra prima preproduzione che poi è diventata il disco che abbiamo poi sviluppato insieme a Marco e Alberto successivamente in diversi passaggi. Il primo lavoro che abbiamo fatto è stato sicuramente più istintivo, immediato e doveva uscire così. Sono quelle cose che succedono poche volte nella vita di un artista, di un musicista; perché ti trovi al momento giusto, con la persona giusta e con l’energia e l’incertezza del mettere sul piatto delle idee così, senza ragionarci troppo, perché ti suonano fresche e innovative“.
Fabio, tu invece che ricordo hai di quelle prime prove, di quelle prime sensazioni?
Fabio Rondanini: “È un disco molto più istintivo per certi versi, ma credo che in fondo l’attitudine sia rimasta la stessa anche in questo. Era un po’ un salto del buio, ma il vero salto del buio del primo disco era più andare dal vivo e sperare che ci fosse gente che potesse interessare al di là che noi fossimo convinto del disco che avevamo fatto, però non volevamo dare per scontato che le persone venissero a vederci per i singoli componenti della band. Noi volevamo avere un’identità e questa cosa è rimasta anche nel secondo disco: rimanere freschi, leggeri, con una consapevolezza anche nel nuovo lavoro. Il primo era un po’ una scommessa e un po’ per certi versi era anche un one shot, cioè avevamo fatto chissà quali programmi. L’idea era facciamo un disco che ci piace, stiamo bene insieme e abbiamo fotografato un momento veramente irripetibile delle nostre vide artistiche, senza cercare di riprodurre esattamente ciò che facciamo perché sappiamo che è imponderabile tutto quello che succede in studio. La creatività è una cosa molto complicata da provare a replicare in uno stesso modo, e appunto credo che un po’ l’attitudine sia la stessa. Eravamo un po’ più acerbi per certi versi ma anche meravigliosamente acerbi perché, appunto, il contenitore lo si stava capendo in quel momento. Un disco che sorprendeva per primi anche noi; in questo secondo album siamo un po’ più consapevoli anche degli ingredienti che potevamo usare e utilizzare”.
Anche perché nel primo disco l’idea della voce di Alberto Ferrari dei Verdena è arrivata dopo. In questo sapevate già della sua presenza.
Fabio Rondanini: “Era arrivata solo successivamente la voce di Alberto, doveva essere un disco strumentale, avevamo già trovate etichette all’estero che erano interessate al progetto in quanto strumentale ma si è trasformato in corso. Per mesi noi l’abbiamo ascoltato, eravamo convinti che rimanesse solo strumentale, dopodiché ha fatto questo salto pazzesco con Alberto. Chiaramente questa cosa poi ce la siamo portata dietro nell’ultimo. In fase di scrittura abbiamo appoggiato delle melodie, infatti alcuni brani li canta anche Alberto con Adriano perché la forma voleva essere quella di canzoni, anche pop per certi versi, che devono essere ancora più immediati”.
Alla fine erano più interessati al disco strumentale…
Fabio Rondanini: “Una delle due etichette non era tanto convinta delle melodie, volevano una roba più estrema perché è un’etichetta blasonata che va in quella direzione, ma non era nulla di specifico contro Albi. Non ci siamo trovati a un bivio, semplicemente abbiamo preso un’altra direzione noi. Sono cose che accadono e tra i dire e il fare… magari aspettando un po’ saremmo anche usciti”.
Adriano Viterbini: “Ci proposero poi di uscire dopo un anno e mezzo, e avendo questo disco in mano che stava invecchiando e non volevamo aspettare”.
Fonte : Wired