Terzo: se è Pechino la potenza destinata a prendere lo scettro della produzione dell’atomo entro la fine del decennio, Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Canada hanno pianificato una serie di investimenti. L’Aie prevede che le fiches su nuovi impianti dell’atomo passano dai 30 miliardi di dollari degli anni Dieci del nuovo millennio a oltre 100 miliardi entro il 2030 e rimangono sopra gli 80 miliardi fino al 2050.
Il sogno dei piccoli reattori
Soldi in effetti ne dovrebbe sborsare anche l’Italia se, come si legge nel Pniec, il nucleare dovrà arrivare da impianti di nuova generazione: piccoli reattori modulari (sotto i 300 megawatt di produzione) e altre tecnologie che, al momento, sono sperimentali e non sono commerciali, parola dell’Aie. Pichetto Fratin ha siglato l’adesione italiana all’Alleanza industriale europea sui piccoli reattori modulari (Small modular reactors, smr, un nuovo tipo di reattori), varata dalla Commissione a febbraio con l’obiettivo di investire nella ricerca del settore per avere i primi prototipi pronti nel 2030. E alcuni progetti sta conducendo l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea). Sta sperimentando un nuovo tipo di reattore con Newcleo, la più ambiziosa startp del settore, e poi ha test in corso insieme ad Ansaldo Nucleare e operatori stranieri del settore, tra cui Westinghouse e Rolls Royce.
A fornire le idee è la Piattaforma nazionale sul nucleare sostenibile (Pnns), un gruppo di esperti nominato lo scorso settembre per elaborare una strategia del settore. Stando al documento, il team avrebbe dovuto fornire entro tre mesi (quindi Natale) una ricognizione del settore, entro sei mesi una raccolta di proposte (marzo), sette mesi (aprile) la strategia di azione ed entro nove mesi la lista pratica delle attività da intraprendere. Al momento abbiamo i suggerimenti per il Pniec: 0,4 GW da fissione di nuova generazione nel 2035, 3,5 GW 10 anni dopo e al 2050 un primo contributo di 0,4 GW dalla fusione nucleare, la nuova forma di produzione dall’atomo che replica il meccanismo delle stelle (fondendo gli atomo per generare energia anziché scindendoli, come nella fissione) ma che è ancora a livelli di sperimentazione preliminari. E questo è lo scenario conservativo.
Nelle previsioni del Pniec, il ricorso al nucleare ridurrebbe da 11,5 a 4 Terawattora (TWh) il ricorso al gas naturale, e da 12,6 a 6 TWh le bioenergie, tagliando quindi le emissioni inquinanti, che alterano il clima, e che il governo vorrebbe contenere con la discussa tecnologia della cattura della CO2. Lo stesso governo ammette in coda al capitolo nucleare che lo scenario “non modifica né inficia in alcun modo le ipotesi 2030 alla base di questo aggiornamento Pniec e le relative conclusioni, ma si limita ad evidenziare, a valle delle analisi portate avanti all’interno della Pnns un potenziale ruolo dell’energia nucleare per contribuire al “Net Zero” al 2050”. Insomma, sono gli stessi ministeri ad ammettere che mancano gli aspetti pratici per dare seguito ai desiderata.
Il problema del deposito
Al netto degli auspici, è la stessa Aie a raccomandare concretezza. Chi vuole tenere il nucleare dentro al suo mix energetico deve approvare regole che agevolino gli investimenti, semplificare i processi amministrativi e prevedere contributi pubblici per lo sviluppo del settore. Il ministro Fratin, che di nucleare ha parlato con interesse al G7 dell’Ambiente, ha incaricato il costituzionalista Giovanni Guzzetta di preparare il terreno regolatorio per l’atomo. Ma poi bisogna passare dalle parole ai fatti. Decidere dove installare gli impianti, confrontarsi con i territori, informare la popolazione. Il governo avrebbe un banco di prova per dimostrare di prendere sul serio la faccenda nucleare: la costruzione del deposito nazionale delle scorie, che a regime dovrà ospitare i 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità e stoccarne temporaneamente 17mila ad alta intensità.
La partita per assegnare l’impianto a un Comune auto-candidato, decisa dal Mase per aggirare il no delle 51 località designate dall’analisi di Sogin, la società pubblica incaricata del decommissioning nucleare, si è infranta contro il dietrofront di Trino Vercellese, in Piemonte, dove già sorge un’ex centrale atomica e dove sono stoccate temporaneamente alcune scorie, che a metà marzo ha ritirato la sua proposta di accogliere l’impianto, avanzata il 12 gennaio scorso, dopo fortissime politiche, locali e nazionali. Il processo è tornato alla casella di via e non si sa a che punto sia. Mentre sull’Italia incombe il rientro di 235 tonnellate di scorie ad alta e media intensità nel 2025 dalla Francia, che per legge non può trattare in casa. Sarebbero dovute finire stoccate nel deposito, che per allora, però, non vedrà la luce. E chissà che fine farà il sogno nucleare del governo Meloni.
Fonte : Wired