Spalletti e Gravina vivono in un modo tutto loro

Ci risiamo, la Nazionale fa di nuovo flop e nulla cambia. Questa volta la caduta è ancora più fragorosa perché alla mediocrità tecnica abbiamo aggiunto l’incapacità di sudare per quella maglia che fino ad una ventina di anni fa era il punto massimo di arrivo della carriera di un calciatore e oggi è solo un intermezzo (fastidioso) nella stagione dei club. Tutti gli italiani sono rimasti perplessi guardando la Svizzera passeggiare senza difficoltà sopra gli azzurri, trovando davanti un’autostrada per i meritatissimi quarti di finale. Forse però scrivendo tutti gli italiani un po’ sto esagerando, ce ne sono in particolare due che sembrano non aver ben capito la portata del fallimento di questa Nazionale che ha giocato quattro partite che entreranno nel libro nero degli azzurri.

Questi due italiani si chiamano Luciano Spalletti e Gabriele Gravina e il fato vuole che siano uno il CT della Nazionale e l’altro il presidente della FIGC, capo supremo del calcio italiano. Entrambi, circa dodici ore dopo la scioccante sconfitta, si sono presentati in una conferenza stampa molto attesa perché doveva spiegare il grande flop azzurro. E’stato invece un viaggio nelle pieghe del fantastico mondo di Spalletti e Gravina, in cui tutto è filosofia, dove il “fumo” trionfa e l’arrosto non arriva mai, insomma il perfetto specchio della Nazionale scesa in campo in Germania.

L’allenatore, perché un un selezionatore proprio il buon Spalletti non lo è, ha chiesto scusa, si è preso le sue responsabilità (che già è qualcosa) poi però è ritornato a cullarsi nel suo mondo parlando con frasi come: “Il dispiacere è che attraverso il mio risultato non è possibile far vedere il loro livello di qualità”. Ora al di là delle dichiarazioni una cosa importante Spalletti l’ha detta: quando serviva il risultato lo abbiamo fatto, poi siamo involuti. Ed eccolo qui il nocciolo della questione, il CT è arrivato a pochi mesi dallle sfide con l’Ucraina quando l’Italia aveva l’acqua alla gola e rischiava di restare fuori anche dall’Europeo dopo il Mondiale. Lì Spalletti ha dato la sua impronta alla Nazionale, gioco veloce, pressione continua e soprattutto gol e vittorie. Questa era l’Italia che ci aspettavamo da lui e lui, da ottimo allenatore, aveva trovato la formula giusta in poche settimane. Cosa è successo dopo? Difficile dirlo, ma la sensazione è che il mondo di Spalletti si sia staccato dalla realtà di questa squadra, la continua ricerca del possesso palla con un regista penosamente “normale” (Jorginho) e due centrocampisti che raramente azzeccano due passaggi di fila (Barella, Cristante, Pellegrini e tutti gli altri) è stato il danno più grande unito al fatto che nessuna certezza è stata instillata in un gruppo già povero di leadership di suo. Questa squadra non poteva abbandonarsi a filosofie di gioco complicate e a moduli fluidi, doveva essere semplice, cercare concetti facili come fatto con l’Ucraina, perché non solo non abbiamo campioni ma mediamente abbiamo giocatori di basso livello tecnico, fisico e con ritmi nelle gambe bassissimi. Insomma bisognava correre più degli altri e andare dritti per dritti verso la porta avversaria.

Ancora più distaccato dalla realtà è il Presidente della FIGC Gabriele Gravina, grande capo del calcio italiano che dopo due tra i più clamorosi flop della storia non ha nemmeno pensato alle dimissioni, conclusione a cui era arrivato persino Tavecchio. Il Presidente è riuscito a non chiedere scusa, ha detto che le responsabilità sono da dividere tra tutti equamente, ha confermato Spalletti e infine ha buttato nel mucchio delle tante inutili parole alcune perle come: “Il senso di responsabilità da parte mia invoca un senso di lucidità ovvero non mettere in pratica atti che determinino danni superiori a quelli che ci sono ora”. Che suona molto come un “Senza di me sarebbe ancora peggio” che forse è il punto più alto toccato in conferenza stampa in materia di distacco della realtà.

Infine Gravina invece di spiegare cosa è andato storto in Germania ha gettato lì un po’ di alibi: le società non collaborano, ci sono troppi stranieri, i vivai non sono un costo ma un investimento. Ora qui è bene fare una piccola riflessione perché a fare questa analisi (non certo profondissima) è il capo del calcio italiano, colui che questi annosi problemi ha il compito di risolverli e non di evidenziarli, chi se non lui dovrebbe battere i pugni sul tavolo delle società? Chi se non lui potrebbe premiare (anche economicamente) chi meglio gestisce i settori giovanili? Ah, no aspettate anche in questo caso il Presidente non ha responsabilità: “Non ho possibilità di muovermi o di imporre una linea per resistenze interne, norme statutarie e internazionali”, ma allora viene da chiedersi, che cosa fa di preciso Gravina? Perché un Presidente che non può fare nulla continua a fare il Presidente invece di lasciare la sedia? Domande a cui il mondo (reale) del calcio chiede risposte che non arriveranno perché in quello di Gravina di mondo evidentemente di soluzioni non ce ne sono se non il sempreverde “Punteremo sui giovani” che poi sarà il soliti: lanciamo qualche ragazzino alla prossima partita e tutti si saranno dimenticati di tutto, in attesa del prossimo flop. 
 

Fonte : Today