Abbiamo sbagliato tutto quello che poteva essere sbagliato

Brutta, svogliata, insipiente. Questi sono solo alcuni degli aggettivi che vengono in mente a freddo dopo la debacle dell’Italia a Euro 2024. Lasciando stare le statistiche, la Nazionale peggiore che abbia mai visto dal 1978, il mio primo Mondiale, a 9 anni, l’età della ragione calcistica. Ce ne sono state altre brutte, ma mai svogliate, brutte perché costruite male o perché una generazione soccombeva alla carta d’identità, ma al di là del gioco – che oltre al talento, alla personalità, alla forza interiore, alla voglia di vincere e alla cattiveria non è mai stato il nostro tratto distintivo, anche se abbiamo giocato a calcio con Bearzot, sicuramente con Vicini (il quale portò in blocco in nazionale la sua meravigliosa Under 21), Lippi, Conte e Mancini, sapendo, comunque, sempre cosa fare in campo con gli altri – abbiamo perso la voglia di lottare su ogni pallone, di picchiare bene – come fanno con noi, vedi il colpo a Barella – e di vestire la maglia azzurra; senza fare gli indignati da quattro soldi, il parrucchiere personale non ce lo meritavamo.

Spalletti ha sbagliato tutto quello che poteva essere sbagliato

Luciano Spalletti, delle cui giustificazioni abbiamo già scritto, ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare, arrivando alla fase finale dell’Europeo confuso, pure dalla sua stessa roboante retorica che, se in alcune piazze ha fatto presa, a livello internazionale – come tante altre cose in questo Paese – ha il fiato corto e serve solo a nascondere le proprie responsabilità dietro a un dito. Tralasciando le convocazioni, considerando il parco giocatori della Serie A – anche se resta da capire perché Immobile (chiedetegli scusa, se ne siete capaci) e Verratti sono usciti dal giro azzurro, cioè Jorginho sì e Verratti no? –, Spalletti, sia contro la Croazia che contro la Svizzera, ha dimostrato di non avere chiara la formazione e il modulo da schierare in campo, mandando in confusione i giocatori: si è visto dalle loro facce e dalla prossemica dei loro corpi; sostituzioni a profusione e senza senso come il ‘migliore’ Oronzo Canà. Si dice sempre che un allenatore veda meglio di noi i calciatori allenandoli, e allora cosa ha visto Spalletti durante la preparazione e queste settimane di torneo? E quale preparazione atletica è stata fatta? Albania, Spagna, Croazia e Svizzera non solo stavano fisicamente meglio di noi, ma sapevano sempre cosa fare in campo e, forse, la partita contro gli spagnoli ha tolto quelle poche certezze che avevamo. Torniamo a casa meritatamente e vorremmo che a casa ci andasse pure il presidente federale, Gabriele Gravina, con la sua corte e il Ct, Luciano Spalletti, con il suo staff; insieme con quei giocatori che non hanno avuto rispetto per la maglia azzurra, gli inglesi la chiamano heritage, altri l’hanno persa per molto meno. Va detto che dopo Artemio Franchi si sono succeduti sullo scranno più alto della Figc personaggi più ‘politici’ che sportivi, con alterne fortune e pochissimi meriti, incapaci di costruire sulle vittorie alle quali sono succedute, quasi, sempre rovinose cadute. Carlo Tavecchio ha pagato la mancata qualificazione a Russia 2018, Gravina ha sulle spalle questo Europeo, il ‘caso’ Mancini e la mancata qualificazione a Qatar 2022, cos’altro dobbiamo aspettare? Manchiamo di strutture, settori giovanili all’avanguardia – qui c’è pure il tema della ricerca, dell’individuazione e della crescita dei talenti e del perché ci siano tanti stranieri a quei livelli, cui prodest? –, a parte casi eccezionali, e una visione d’insieme. Ognuno, soprattutto i club, guarda il proprio particolare, mentre Bundesliga e Premier League sono cresciute, seppur con i loro dissidi interni. Manchiamo di regole certe dal punto di vista giuridico – questi ultimi anni di giustizia sportiva a comando sono stati ridicoli – e dal punto di vista finanziario, e manchiamo di un tifo consapevole come in Inghilterra e Germania, dove pure gli ultrà hanno una cultura finanziaria. È cresciuta l’autonomia differenziata del tifo, che non guarda più alla Nazionale come momento d’unione ma come scontro, dove ognuno difende i ‘propri’ giocatori e dove la squadra azzurra è percepita più come un fastidio che come un traguardo, con tutto intorno un rumore sinistro di guerra aperta alle rappresentative nazionali, le quali producono meno business rispetto ai club.

Che poi ci siano stati blocchi importanti nelle vittorie azzurre è storia. Eppure nelle nazionali giovanili, grazie allo straordinario lavoro del coordinatore Maurizio Viscidi, c’è un climax diverso e i risultati si vedono. Ma se guardiamo la rosa dell’Under 17 Campione d’Europa, vediamo che Francesco Camarda ha giocato solo 2 partite con il Milan quest’anno. Il centrale Andrea Natali giocava nel settore giovanile del Barcellona ed è stato acquistato dal Bayer Leverkusen, l’italobrasiliano Emanuel Benjamín de Sant’ana Balbinot è di proprietà del Real Madrid, mentre Matteo Lontani nella Juventus non ha mai visto la prima squadra, per fare alcuni esempi. La risposta a tutto questo è Lamine Yamal, 16 anni, titolare nel Barcellona. Senza contare che dalla Spagna alla Germania le seconde generazioni sono costantemente presenti in nazionale, grazie alle leggi di Paesi civili. C’è poi chi, indecorosamente, sta lucrando sulle disgrazie azzurre per spostare l’attenzione su altri sport, come se non potessimo godere del tennis e dell’atletica leggera, del nuoto e della scherma, della pallavolo e della pallacanestro, insieme con il calcio. Le guerre tra poveri portano sempre poco lontano e uno sportivo vero non ha preferenze, soprattutto quando c’è di mezzo la maglia ‘azzurra, in tutte le sue declinazioni. Negli sport citati, come in tanti altri omessi, siamo da sempre – vedi scherma, nuoto e pallavolo, per esempio – e stiamo diventando – leggi atletica leggera – una potenza, grazie al lavoro delle federazioni e dei singoli e grazie anche, inutile nasconderlo, alla nazionalità italiana che hanno potuto conquistare molti sportivi per uno dei due genitori: lo abbiamo visto bene all’ultimo Europeo di Roma di atletica leggera. Dove il presidente federale è Stefano Mei, ex atleta. Questo è un tema caldo da anni, si dice spesso che un ex campione non è scontato che sia un ottimo dirigente, d’accordo, non tutti possono esserlo, così come diventare un bravo allenatore, ma nel calcio italiano non è mai stato provato.

Dove sono Del Piero, Maldini e Chiellini?

A discolpa, c’è stato Demetrio Albertini che ci ha lasciato in dote le squadre B, errore culturale clamoroso in un calcio di provincia come quello italiano e dove l’esperienza spagnola non poteva, doveva, essere innestata a freddo. Ma dove sono, per citarne alcuni, i Paolo Maldini, i Del Piero, i Chiellini? E perché non sono dentro la Federazione? Roberto Baggio ha provato ed è ‘scappato’: probabilmente perché non ‘rispondeva’ a determinati dettami politici?! E, forse, come con Bearzot, Vicini, e Cesare Maldini, con alterne fortune, sarebbe il caso di tornare ai tecnici federali anche per la nazionale maggiore – il Ct spagnolo Luis de la Fuente, per esempio, è un tecnico federale –, spesso più moderni e preparati di alcuni ‘guru’ capaci solo di inutile retorica moralista: che le cose non sarebbero andate bene abbiamo iniziato a subodorarlo quando Spalletti ha smesso di parlare di calcio cianciando di comportamenti, regole e valori, per quanto importanti. Lo sport senza merito porta a momenti come quello che abbiamo vissuto a Berlino contro la Svizzera, guai a dimenticarlo, perché il campo non mente. Infine, un’autocritica. Il giornalismo dei diritti televisivi, più marketing che professione, che deve vendere un prodotto piuttosto che raccontarlo, il giornalismo embedded che vediamo e leggiamo da almeno due decenni, accompagnano ma non raccontano, esaltano ma non criticano, più spesso giustificano, altrimenti dovrebbero spiegare tante, troppe, cose. Non facendo quello che sarebbe chiamato a fare, probabilmente anche per scarsa competenza. E sarebbe il caso di tornare a scrivere di politica sportiva, con inchieste vere sulla governance di un calcio, che dai club alla federazione, spesso non è formata e non sa parlare nemmeno un inglese decente. A certi livelli l’ignoranza (anche di comportamento), la presunzione e la cialtroneria non dovrebbero avere diritto di cittadinanza. E se pensate che la formazione non conti guardate i dirigenti stranieri, i loro risultati e tirate le conclusioni. Lo stesso giornalismo che ha dimenticato la Serie C, la Serie B, raccontando solamente la Serie A e la Champions League, e che spesso relega vittorie storiche degli altri sport nelle pagine finali, faticando a concedergli la copertina. I veri sportivi hanno fame e pretendono, giustamente, l’intero menù. Nell’attesa che accada qualcosa cerchiamo di digerire il cioccolato svizzero che ci è andato di traverso.

Fonte : Today