Israele, le proteste contro l’accordo di Amazon e Google non si fermano

Israele è attualmente accusata di genocidio dalla Corte internazionale di giustizia nell’ambito di un caso presentato dal Sudafrica. A maggio, la Corte penale internazionale ha spiccato mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant, il leader di Hamas Yahya Sinwar e altri due funzionari di Hamas, tutti accusati di aver commesso crimini di guerra. Israele ha ripetutamente negato le accuse di genocidio e altri reati.

I due attivisti che hanno interrotto l’evento di Amazon rappresentavano No Tech for Apartheid, una coalizione formatasi nel 2021 per protestare contro il progetto Nimbus. Il gruppo è composto da persone che lavorano nel settore tecnologico, oltre che da rappresentati del movimento di base musulmano MPower Change e del gruppo ebraico antisionista Jewish Voices for Peace.

In una dichiarazione diffusa dopo la protesta, No Tech for Apartheid – che si oppone al progetto Nimbus dal 2021 – ha affermato che il fatto che Google e Amazon abbiano deciso di portare avanti il contratto “nel bel mezzo di questo genocidio rappresenta un nuovo livello di orrore“. Amazon non ha risposto immediatamente a una richiesta di commento da parte di Wired US.

L’ondata di proteste contro Amazon e Google

No Tech for Apartheid ha guidato diverse proteste importanti negli ultimi mesi. A marzo, Eddie Hatfield, membro del gruppo e all’epoca ingegnere del cloud di Google, aveva interrotto l’amministratore delegato di Google Israele durante Mind the Tech, una conferenza sponsorizzata dal gigante e dedicata all’industria tech israeliana. Hatfield era stato licenziato pochi giorni dopo l’episodio.

Ad aprile, i dipendenti di Big G avevano organizzato un sit-in negli uffici dell’azienda a New York e a Sunnyvale, in California, in concomitanza di una serie di proteste all’esterno degli edifici. In quell’occasione, nove dipendenti dell’azienda erano stati arrestati dalla polizia e oltre 50 licenziati. Alcuni delle persone che hanno perso il lavoro hanno poi denunciato Google accusandola di pratica sindacale sleale (il caso è attualmente in corso).

Nelle ultime settimane, nell’ambito di un’altra iniziativa promossa da No Tech for Apartheid, più di 1.100 studenti universitari da oltre 120 atenei americani hanno sottoscritto una lettera in cui si impegnano a non lavorare o fare stage per Google o Amazon finché le due società non rinunceranno al progetto Nimbus.

Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.

Fonte : Wired