Il suicidio assistito in Italia è davanti a un importante bivio legale

La materia del fine vita, a detta di Meloni, dovrebbe essere trattata dal Parlamento. Ma così il governo finisce con l’ignorare il fatto che anche il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, aveva spronato il Parlamento ad intervenire, dichiarando il 20 maggio: “Ultimamente su questo l’attività del Parlamento è lenta rispetto a quella della Corte costituzionale“.

Gli scenari

Al momento ci sono tre autodenunciati: Cappato, Lalli e Maltese, rientrati in Italia e indagati in un procedimento penale di Firenze. I giudici si dovranno pronunciare sul requisito del trattamento di sostegno vitale, ossia quello che si presta a un’interpretazione più controversa e con potenziali effetti discriminatori. Tanti italiani che, come Massimiliano, non dipendono da questo sostegno vitale sono spinti a sconfinare in Svizzera per accedere alla morte volontaria, oppure a dover patire sofferenze insopportabili.

Oltre al caso di Massimiliano, l’ex eurodeputato della Lista Bonino, Marco Cappato con altri “disobbedienti” è indagato per l’aiuto fornito anche ad altre persone malate: sei procedimenti giudiziari per aver assistito persone nel suicidio, nonostante fossero privi del requisito del trattamento di sostegno vitale. Tre persone a Milano, una a Firenze, una a Bologna, e una a Roma. L’associazione Soccorso Civile conta 37 iscritti, tra cui, oltre a Cappato e a diversi familiari dei malati, Mina Welby, i parlamentari Riccardo Magi e Ivan Scalfarotto, gli ex senatori Luigi Manconi e Marco Perduca.

Abbiamo aiutato Massimiliano perché sentivamo fosse nostro dovere farlo, per interrompere una situazione di tortura alla quale era sottoposto. Se potessimo tornare indietro, lo faremmo ancora per lui e per tutte le persone nelle sue stesse condizioni“, spiega Cappato. Ci sono state pressioni da parte del governo, dice, per fare in modo che i giudici affrontino il processo con un’interpretazione che potrebbe costare caro ai “disobbedienti”. Se fosse confermata dalla Consulta una interpretazione restrittiva del requisito della presenza di trattamenti si sostegno vitale, Cappato, Maltese e Lalli rischiano una condanna che prevede la reclusione fino a 12 anni di carcere, in base a una legge del 1930 sull’istigazione o aiuto al suicidio.

Le richieste di “suicidio assistito” in Italia

La strada per il riconoscimento del suicidio assistito in Italia è stata spianata, nel 2006, dalla morte di Piergiorgio Welby. Diciotto anni fa il medico Mario Riccio, previa sedazione, gli staccò il respiratore. Il dottor Riccio fu poi assolto dall’accusa di omicidio. Un precedente importante che poi a catena ha influenzato altre persone, nel vuoto normativo.

Da Eluana Englaro, che morì in modo naturale nel 2009 dopo 17 anni di stato vegetativo, con la Cassazione che per ben due volte si pronunciò a favore della sospensione della nutrizione e idratazione artificiale, a Walter Piludu, malato di Sla dal 2013, che ottenne l’autorizzazione da un giudice di Cagliari affinché venisse aiutato a morire. Fino a Fabiano Antoniani, dj Fabo, rimasto senza vista e tetraplegico dopo un incidente stradale, portato in Svizzera da Marco Cappato.

Da un sondaggio commissionato dall’Associazione Luca Coscioni all’istituto Swg, l’84% degli italiani risulta a favore di una legge sull’eutanasia, come l’83% degli elettori di Fratelli d’Italia e Forza Italia e il 77% di chi ha votato Lega alle ultime politiche. Un tema su cui, come in altri casi, la società civile sarebbe ben più favorevole al diritto all’autodeterminazione individuale dei rappresentanti al governo. Compresi gli elettori del centro-destra.

Fonte : Wired