Lo sport si è tolto il paraocchi e dovremmo farlo anche noi

Martedì scorso ad Arlind Sadiku, giornalista kosovaro del canale televisivo Artmotion, è stato negato l’ingresso alla conferenza stampa dell’Albania e gli è stato successivamente ritirato l’accredito per accedere agli eventi di Euro 2024. Sadiku, prima della partita Serbia-Inghilterra, aveva mimato con le mani l’aquila albanese ai tifosi serbi, forse è meglio dire contro i tifosi serbi: un gesto nazionalista, inutile, che richiama uno dei momenti più bui dell’Europa davanti alla disgregazione della Jugoslavia e alle conseguenti rivendicazioni indipendentiste.

Contro l’estrema destra

In questi giorni Kylian Mbappé e Marcus Thuram, calciatori della nazionale francese, sono ‘scesi in campo’ per invitare i propri connazionali ad arginare l’avanzata dell’estrema destra nel Paese, che alle ultime elezioni europee è stata maggioritaria; e potremmo continuare ancora. Qualcuno potrebbe obiettare che il calcio, lo sport più in generale, dovrebbe essere neutrale, dovrebbe lasciare alla politica certi argomenti e occuparsi solamente di quello che accade in campo e nei dintorni. Questo perché siamo stati abituati, soprattutto in Italia, a calciatori, sportivi, che non prendono posizione, con l’idea fasulla della neutralità dello sport, rivendicata dalla FIFA come dalla UEFA e ancor più dal CIO. Spoiler: la neutralità dello sport non è mai esistita e, nei decenni, è stata la coperta corta con la quale coprire qua e là imbarazzi e nefandezze. Basti ricordare come le dittature nazifasciste lo hanno usato negli anni Trenta del secolo scorso, il Mondiale in Argentina del 1978, piuttosto che i processi di sportwashing dei Paesi del Golfo, senza dimenticare l’intromissione a gamba tesa del presidente francese Emmanuel Macron di fronte alla possibile cessione di Mbappé al Real Madrid, che poi è arrivata. Per non pensare che le democrazie non tirino per la giacchetta lo sport quando serve. Ma allora cosa sta accadendo? Cosa c’è di diverso oggi rispetto a ieri? La famosa frase di Michael Jordan, «Anche i repubblicani comprano le scarpe», è l’emblema del cerchiobottismo di certo sport e certi sportivi che hanno sorvolato su tante questioni per evitare contraccolpi economici.

Cambia il pubblico

Gli fa da contraltare la figura di Craig Hodges che si è battuto per i diritti dei neri americani e che criticò proprio Jordan perché non aveva preso posizione, pagandone le conseguenze anche dal punto di vista sportivo. È cambiato il mondo dello sport? No. Sono cambiati gli sportivi? In generale no. Ma è cambiato il pubblico, soprattutto quello più giovane, più attento ai diritti di genere, ai diritti della comunità LGBTQIA+, a quelli delle minoranze e dei lavoratori – vedi Qatar 2022 –, il quale pretende che gli atleti siano, soprattutto, uomini capaci di schierarsi e di non snobbare battaglie che ritiene essenziali. Insomma, non basta che siano dei fuoriclasse in campo, lo devono essere anche al di fuori, perché lo sport, il calcio, è sempre stato un fenomeno sociale, economico e anche politico. Per questo non è mai stato neutrale.

Va sottolineato come il merito di queste nuove prese di posizione lo si debba anche alla diversità, una volta lo sport era maschio e bianco, oggi, per fortuna, non più. Questa diversity porta nuove istanze, Mbappé è cresciuto in certi quartieri e sa cos’è la Francia vista con gli ‘occhiali’ delle banlieue, il brasiliano Vinícius Júnior sta vivendo sulla propria pelle il razzismo e non per sentito dire, Ada Hegerberg, calciatrice dell’O. Lione e della Norvegia, Pallone d’Oro 2018, si è rifiutata di andare al Mondiale francese per protestare contro la discriminazione di genere nel calcio e il gender pay gap. Il football, lo sport, si è tolto il paraocchi e dovremmo farlo anche noi. Ne saremo capaci?

Fonte : Today