Pnrr, che fine faranno i 5 centri di ricerca

I target per i farmaci saranno sempre più piccoli, le criticità che oggi si incontrano nel curare le malattie rare in futuro si presenteranno per tutte le patologie. Serve quindi standardizzare la ricerca di farmaci e le tecnologie Rna lo consentono”, precisa, spiegando la forte mission del centro: “mettere il Paese ai nastri di partenza di questa sfida, permettendogli di contribuire alla ricerca e non dover più mettersi in coda per comprare farmaci inventati da altri”. In futuro, alcuni potrebbero essere scoperti dai 700 ricercatori neo assunti attraverso il centro, oppure da una delle 15 aziende coinvolte attivamente nei suoi progetti. Ce ne sono di dedicati alla ricerca di immunoterapie personalizzate per i tumori più aggressivi, di farmaci per “alleggerire” l’impatto e il decorso della distrofia muscolare e di altri processi infiammatori oppure di terapie di rigenerazione cardiaca che massimizzino le performance del cuore dopo ischemie o infarti.

Mentre collabora con l’Unsw Rna, il suo “gemello australiano”, il centro diretto da Rizzuto dopo la scadenza dei fondi conta su nuovi finanziamenti: “Stiamo facendo in modo che le istituzioni percepiscano il valore dei progetti e delle competenze creati“. Intanto scommette sugli spin off: un atto necessario ma non sufficiente per la sua futura sostenibilità.

Creare connessioni col potere di calcolo

Con più budget per l’infrastruttura che per i progetti, il National Centre for Hpc, Big Data and Quantum Computing si distingue dagli altri centri per la sua mission di natura più trasversale. Quella di “creare e gestire la più grande infrastruttura di calcolo da mettere a disposizione della ricerca”, spiega il suo Ethics and Data e Governance manager Matteo Zanaroli.

I suoi progetti intrecciano quindi tante tecnologie abilitanti e coinvolgono più settori contemporaneamente. Un esempio sono quelli di mappatura dell’impatto sociale di eventi estremi legati alla crisi climatica, in cui ingegneri, fisici e matematici lavorano assieme a esperti di economia e sociologia, e fanno squadra con player assicurativi, costruttori di infrastrutture critiche e di reti di trasporto, enti locali e soccorso civile.

Sono complessi da gestire ma stimolano la collaborazione tra aziende e PA e tra diverse comunità di ricerca. Aiutano tutti ad ampliare il proprio network e i propri orizzonti, moltiplicando anche le opportunità di innovare” spiega Zanaroli. Nei prossimi mesi per monetizzare il valore finora delle connessioni favorite, rimasto finora intangibile, il centro offrirà servizi di calcolo e consulenza su dati e infrastrutture ai partner sia interni che esterni, potenzialmente bisognosi anche di formazione e opportunità di networking.

Il futuro del supercomputing italiano è strettamente legato anche al numero di giovani talenti che ci si vorranno dedicare. Finora il centro conta nella sua rete 583 neo assunti che diventeranno oltre 800 entro fine missione. Da poco ha anche iniziato ad avviare anche corsi post-laurea per colmare il gap fra esperti di dominio e di calcolo. Re-Train-Me, è il primo, riguarda il biomedical computing, coinvolge 9 centri di ricerca e selezionerà a breve i suoi 36 partecipanti. Sempre in vista del 2025, il centro sta anche rafforzando il proprio ruolo di riferimento nazionale su temi di policy e governance dei dati, e sarà probabilmente destinato a gestire l’ecosistema di risorse di calcolo chiesto dall’Unione europea, se proseguirà la sua carriera.

In segreto, coltiva anche un sogno audace. Zanaroli lo svela col condizionale: “Vorremmo sbloccare il valore dei dati in filiere in cui oggi non vengono condivisi, partendo da quella della meccatronica. Siamo l’unico soggetto che può farlo, e anche molti altri settori strategici per il Paese, per sopravvivere ne avrebbero bisogno”.

Fonte : Wired