“Bloccato 55 ore alla frontiera inglese per 10 piante”: viaggio nel lato oscuro dei nuovi controlli post-Brexit

Antonio Soprano, 62 anni, lavora come impiegato per la Marini Srl, azienda italiana attiva dagli anni ’80 nel settore dei trasporti in Inghilterra. Nel suo ultimo viaggio, è rimasto bloccato 55 ore alla frontiera inglese per 10 piante di Prunus lusitanica – comunemente “lauro del Portogallo” – che secondo i funzionari inglesi poteva essere veicolo di parassiti pericolosi. “Non ho mai capito quale fosse il problema”, racconta l’autotrasportatore, che parla poco l’inglese. “Così come chi lavora lì, tutta gente arrivata da poco in Gran Bretagna che parla a malapena la lingua”, dice a Today.it. Un aspetto confermato anche da Daniel Florea, dipendente della Marini dal 2007. 

“Faccio questa tratta da anni, ho visto l’Inghilterra prima della Brexit, subito dopo, e ora”. Daniel carica le piante dal centro Italia, arriva fino al nord della Francia, al porto di Calais. Da lì si imbarca per arrivare al porto di Dover, nel sud-est dell’Inghilterra. “Ormai bisogna passare per tre controlli diversi”.

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I nuovi controlli

C’è un motivo per cui le 10 piante di Prunus hanno causato un intoppo da 55 ore. Sulla scia del post-Brexit, dal 30 aprile scorso è in vigore nel Regno Unito un nuovo sistema di controlli alla frontiera per i prodotti alimentari e ortofrutticoli provenienti dall’Unione europea.

Le novità interessano i prodotti di origine animale o vegetale, come latticini, uova, carne e piante e riguardano l’introduzione di nuovi controlli sia sulla documentazione (certificati sanitari o fitosanitari) che fisici, quindi ispezioni. Il nuovo sistema di controlli è l’esempio della burocrazia di frontiera con cui le imprese del Regno Unito e dell’UE devono fare i conti sulla scia della Brexit. Ma chi paga i conti di questa stretta?

Tra i vari punti in questione, fa discutere la nuova tariffa a carico degli importatori per ogni prodotto sottoposto ai nuovi adempimenti. La tassa – che può raggiungere le 145 sterline a carico per la merce più ad alto rischio – viene richiesta dalla dogana inglese a copertura dei costi di ispezione ed è dovuta anche in assenza di controlli, il che fa dubitare della sua legittimità in base all’Accordo Brexit, sottoscritto nel 2021, che dispone l’assenza di dazi o tasse di effetto equivalente per i prodotti europei.

Il governo inglese motiva i nuovi controlli fisici con la necessità di tutelare la “biosicurezza” del Paese, prevenendo l’eventuale “importazione di malattie e parassiti da prodotti animali e vegetali”. Il camion di Antonio Soprano è stato trattenuto proprio perché le piante a bordo potevano potenzialmente essere veicolo di parassiti.

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Secondo la nuova categorizzazione introdotta dal governo britannico, infatti, sono definite “ad alto rischio” tutte le piante da impianto, insieme a patate, macchine agricole, semi, parti di pianta di conifere, legno e corteccia di determinate specie. Nella categoria “a medio rischio” rientrano numerose altre specie di piante, e, dal 1 febbraio 2025, diversi prodotti ortofrutticoli.

“Dal 30 aprile 2024, le ispezioni per tale categoria di piante, che prima avvenivano presso il luogo di destinazione, vengono eseguite presso i Border Control Posts (Bcp) o Control Point (Cp) autorizzati”, ricorda l’ambasciata italiana a Londra. Ed è per questo che, giunto nel porto di Dover, ad Antonio è stato ordinato di guidare per più di 30 chilometri fino alla struttura di frontiera di Sevington.

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Lì i funzionari gli hanno tolto le chiavi del camion per poi lasciarlo nell’ufficio pensato per accogliere “visitatori” per poche ore al massimo, che per il 62enne si sono però trasformate in più di due giorni. Nella struttura era disponibile solo acqua, e per potersi procurare del cibo dopo ore di digiuno, all’autista è stato consigliato di recarsi a piedi al Mc Donald’s più vicino, distante circa 2 chilometri. Antonio ha trovato un supermercato, sempre a non meno di 2 chilometri. Poi, quando finalmente ha ricevuto il via libera – alle 2 e mezza di notte, due giorni dopo il suo arrivo – si è fermato  nell’area di sosta del McDonalds per riposare un po’. Al suo risveglio gli è stata fatta una multa da 185 sterline perché lì non poteva sostare.

Il caso di Daniel, bloccato come Antonio “senza capire perché”

“Quello che è successo ad Antonio è surreale, ma non è certo il primo caso di questo genere”, dice a Today.it Vincenzo Marini, titolare dell’azienda di trasporti.

Da anni Daniel, cittadino italiano originario della Romania, percorre la tratta che lo porta in Inghilterra. Carica le piante da varie aziende di vivaio nel centro Italia, arriva fino al nord della Francia, al porto di Calais. Da lì si imbarca per arrivare al porto di Dover, nel sud-est dell’Inghilterra. “Ormai bisogna passare per tre controlli diversi. Quello francese, a Calais, che viene ripetuto dalle autorità inglesi. Se poi dai controlli automatici sul codice abbinato al carico ‘viene fuori il semaforo rosso’, devi passare per il terzo controllo a Sevington, a più di 30 chilometri da porto”.

Anche a Daniel, come al suo collega Antonio, è capitato di rimanere lì più di due giorni. È successo a dicembre, prima ancora dell’entrata in vigore delle nuove regole. “Non ho neanche mai capito quale fosse il problema, ma aveva a che fare con le tariffe dovute dall’importatore. Alla dogana lavorano persone arrivate da poco in Inghilterra che non parlano bene la lingua e succede di non capirsi. Spesso poi i funzionari non si prendono neanche la briga di spiegarti”.

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A Daniel è stato messo sotto sequestro il rimorchio – secondo la procedura – ed è stato lasciato lì. “A Sevington c’è solo un container che fa da bagno e un distributore per l’acqua, nient’altro. Sei costretto a dormire nella cabina del camion, ma anche stazionare con il mezzo è un problema. Da due anni è stato vietato stazionare con i camion in molte aree del Kent”, la contea dove si trova il appunto il centro di controllo di Sevington. “C’è solo un parcheggio in cui i camionisti possono sostare se vengono trattenuti, ma il posto finisce subito”. “Così quella notte ho fermato il camion in un punto dell’area industriale perché non sapevo dove stare, e alle 4 del mattino mi stavano mettendo le ganasce alle ruote”.

Con l’allungamento dei tempi di controllo fare questo lavoro conviene sempre meno: “Sono pagato a viaggio. Per arrivare in Inghilterra prima ci mettevo 4-5 giorni, ora ce ne metto 9. Guadagnerei di più se lavorassi solo in Italia”. 

I trasporti in Inghilterra stanno diventando sempre più complessi e il titolare della Marini non esclude di eliminare le rotte verso il Paese, che la sua azienda percorre dagli anni ’80. “Abbiamo già ridotto le tratte, e stiamo cercando alternative per sostituirle”. 

“Le multinazionali assorbono i costi, ad essere penalizzati sono gli esportatori italiani più piccoli che magari hanno in Inghilterra un bacino importante. La Brexit sembra essere in una fase di rodaggio in cui il governo inglese non è ancora in grado di far svolgere le procedure sempre più severe in modo professionale, senza danneggiare chi lavora”.

Chi paga gli “intoppi” nei controlli

La burocrazia aggiuntiva potrebbe significare migliaia di sterline di costi in più ogni mese per le aziende importatrici, mentre i blocchi alla frontiera potrebbero causare problemi alla conservazione dei prodotti deperibili. Le nuove tariffe possano minacciare le piccole e medie imprese che operano nei settori dei prodotti oggetto dei nuovi controlli. Quindi piccoli rivenditori al dettaglio di generi alimentari, gastronomie, ristoranti, vivai e simili attività commerciali di giardinaggio. I costi saranno prevedibilmente scaricati sui consumatori inglesi, che subirebbero quindi un nuovo aumento dei prezzi sui generi alimentari. 

L’introduzione del nuovo regime è recente e non esistono ancora dati sui costi di cui saranno gravati gli utenti finali. Il National audit office ha però calcolato che la Gran Bretagna spenderà almeno 5,5 miliardi di euro per portare a compimento i principali programmi con cui il governo dovrà gestire il passaggio delle merci europee attraverso il confine.

Ma le conseguenze ci sono anche per i medi e piccoli esportatori europei ed italiani, perché le imprese britanniche potrebbero chiedere a loro di pagare alcuni dei costi aggiuntivi, e a loro carico ci sono già i certificati sanitari e fitosanitari sui prodotti. 

Le criticità del nuovo regime di frontiera sono tante. Come evidenziato dalla stessa British Ports Association, ai funzionari portuali non è ancora stato messo a disposizione un sistema informatico che consenta di far effettivamente pagare agli importatori le tariffe dovute sulle merci. 

In una lettera inviata all’Ufficio di Gabinetto del Regno Unito, la British Ports Association e la Camera di Navigazione del Regno Unito hanno avvertito che gli operatori portuali hanno bisogno di accedere al sistema informatico del governo per avere una “opportunità realistica di recuperare i costi dagli utenti e dagli importatori”.

In un incontro con gli operatori, il Dipartimento per l’Ambiente, dell’Alimentazione e degli Affari rurali (Defra), ha cercato di calmare i timori affermando di essere a lavoro per condividere alcuni di quei dati con i porti. Ma hanno ammesso che la soluzione tecnica per farlo potrebbe non essere disponibile per mesi.

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C’è poi la questione della corretta compilazione dei moduli da parte delle aziende europee. Il punto è stato sottolineato dal Financial Times dopo aver visionato alcune carte del Defra. Lo stesso dipartimento ha segnalato che piccoli errori nella compilazione potrebbero portare a classificare in modo errato le merci trasportate da parte dei sistemi informatici britannici . Il risultato sarebbe controlli inutili nelle strutture di frontiera, con conseguenti ritardi ingiustificati nel trasporto delle merci. E autotrasportatori potenzialmente costretti a stazionare senza nelle strutture per ore (se non giorni, come è successo ai lavoratori della Marini Srl) senza che ve ne sia motivo.

“Le catene di approvvigionamento alimentare sono altamente integrate e sensibili al fattore tempo. Sappiamo che il grado di incertezza è tale che le aziende stanno davvero valutando se continuare a spostare merci nel Regno Unito”, ha detto Marco Forgione, direttore generale dell’Istituto per l’Export e il Commercio Internazionale. Una soluzione potrebbe essere un nuovo accordo veterinario tra Ue e Uk, che armonizzando le normative potrebbe eliminare buona parte dei controlli. Lo chiedono da tempo diverse organizzazioni professionali britanniche, ma la possibilità non sembra essere sul tavolo delle priorità del governo di Rishi Sunak. E, anche nel caso partisse la stipula, per la conclusione di un simile accordo potrebbero volerci anni. Una prospettiva che non consola le aziende, già alle prese con le nuove scartoffie e i costi aggiuntivi.

Fonte : Today