Data center, l’Italia deve attirarne di più?

In Italia non abbiamo una “emergenza energia da intelligenza artificiale”, come negli Stat, Unitim e i data center non sono “nemici dell’ambiente”. Lo dicono i numeri: il fabbisogno elettrico nazionale, secondo le ultime previsioni di Terna, la società che gestisce la rete di distribuzione dell’elettricità, dal 2021 al 2023 è passato solo da 320 TWh (terawattora) a 366 TWh e la quota di energia impiegata dal settore digitale rappresenta massimo lo 0,8%. Tuttavia, citando un rapporto datato 2022 dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) Michele Governatori, responsabile area gas e petrolio di Ecco (il think tank italiano per il clima) spiega che “rispetto al suo valore economico, il consumo di energia del settore informatico è proporzionalmente più basso. Andare verso i bit è positivo per il clima e per l’efficienza energetica. I data center, per esempio, evitano spostamenti per riunioni e permettono di smaterializzare servizi e attività che richiederebbero l’uso di combustibili”.

Guardando strettamente ai consumi elettrici, va considerato che il contributo “netto” del funzionamento dei data center arriva massimo al 50%, negli impianti meno efficienti. Il resto dell’energia va nei servizi abilitati, come cloud e AI. “Energivori” quindi in parte sì, ma anche “potenziali fornitori di flessibilità”. Per Governatori le pompe di calore inserite in queste infrastrutture hanno consumi parzialmente modulabili nel tempo. Ciò significa poter smussare la curva di carico e contribuire ad allineare la domanda di energia con l’offerta di rinnovabili, non programmabile.

Cercansi rinnovabili

I data center sarebbero dei potenziali alleati delle rinnovabili italiane. Più che identificarsi nell’emergenza energetica che tanto preoccupa oltreoceano – dove alcuni (compreso il Financial Times) ipotizzano che gli “spropositati” consumi dei data center presto rallenteranno lo sviluppo dell’’AI generativa – in Italia dobbiamo imparare a “rispondere alla domanda di energia con politiche di decarbonizzazione in linea con norme europee”. A dirlo è l’Associazione italiana grossisti di energia e trader (Aiget), il cui presidente Leonardo Santi spiega: “Non prevediamo un problema quantitativo preoccupante a breve: l’efficienza energetica aumenta, la crescita dell’economia è minore delle attese e le contrazioni in altri settori compenseranno l’espansione dei data center. Dobbiamo però aumentare la quota di rinnovabili e devono ancora essere create le condizioni per poterla fornire”.

Nel 2030 dobbiamo arrivare a 239 TWh, partendo dai 113 del 2021 o poco più. Un incremento che per Aiget è possibile se nei contratti di accordo per la gestione dell’energia (Ppa, power process agreement), con cui il produttore si impegna a offrire energia rinnovabile a certe condizioni, si introducono misure di contenimento rischio per la controparte, individuando un soggetto istituzionale che svolga il ruolo di venditore di ultima istanza. Una richiesta già avanzata dal settore e in oggi stand-by. Inoltre, per l’associazione serve sbloccare il decreto sulle aree idonee per realizzare gli impianti “nonostante i vincoli paesaggistici e ambientali” e semplificare le procedure autorizzative. Infine, prevedere interventi infrastrutturali sulla rete, come potenziamento delle linee e nuove stazioni. A fine 2023 le richieste di connessione da impianti eolici, fotovoltaici e accumuli hanno raggiunto i 400 GW , con un incremento di 75 GW in tre anni che “acuisce le criticità per la rete esistente spiega Santi – servono sistemi di accumulo per sgravarla, eseguendo il time-shift di enormi quantità di energia: secondo Terna 60 TWh entro il 2030, il 17% della domanda elettrica totale”.

Portare qui i data center

Siamo la terza potenza economica europea ma scivoliamo in basso di due o tre posizioni quando si parla di quella digitale: questa discrepanza oggi ci costringe importare servizi informatici da altri paesi quando avremmo invece le potenzialità di erogarne noi stessi, a uso interno e per quei paesi in forte sviluppo che non possono contare sulla stabilità e sulla sicurezza che l’Italia offre”, dice il presidente di Ida (Italia data center association) e managing director Italia di Equinix, Emmanuel Becker, assieme a quello di trasformare l’Italia in una “porta di entrata e uscita di traffico digitale per tutte l’Europa e non solo”.

Tolto il “grandissimo freno del costo dell’energia, il più alto d’Europa”, secondo Becker al Paese serve “trattenere i propri talenti digitali e formarne di nuovi, creando filiere di istruzione trasversali e non solo per ingegneri. Va anche colmata la discrepanza tra Nord e Sud, investendo in poli di sviluppo digitale distribuiti e competence center in tutte le città con buona presenza di università e leader informatici”.

C’è da rimboccarsi le maniche, Becker lo ammette, ma suggerisce anche su cosa far leva: sulla nostra posizione geografica. “Rappresentiamo il miglior sbocco sul Mediterraneo per la zona che oggi realizza i maggiori investimenti digitali del pianeta, con aree in forte accelerazione come l’India, il Medio Oriente e l’Africa orientale continua -. L’Italia sta davvero diventando un paese per data center: il competence center realizzato a Genova, il GN1 inaugurato nel marzo del 2022, attrae nuovi cavi sottomarini, trasformandola in un luogo di scambio dati necessari. Soprattutto, dimostra che non solo Milano può: tante altre città possono farcela, serve solo voglia di iniziare”.

Fonte : Wired