Nato, dai chip del futuro alle “fabbriche” nello spazio, dove investe con il suo fondo innovazione

È inglese anche Icomat, che invece si occupa dello sviluppo di materiali più leggeri, migliorando le performance di aerei, auto, droni e veicoli spaziali. Secondo la startup di Bristol, i suoi materiali consentono di realizzare ali per velivoli del 65% più leggere rispetto alla media o mezzi spaziali con un 24% in più di resistenza alle deformazioni. Il che determina costi più bassi, rese migliori, velocità più elevate. Tutti elementi che per caccia aerei o satelliti fanno la differenza.

Nello spazio Space Forge ci vuole produrre farmaci. O semiconduttori. La startup di Cardiff sta progettando un sistema manifatturiero da collocare in orbita, con una piattaforma collocata tra 500 e 800 chilometri di altitudine per beneficiare dell’esposizione solare, alimentare i macchinari e completare cicli di produzione prima di rientrare a Terra. Perché andare fin nello spazio? Per Space Forge ci sono varie ragioni: la micro-gravità, l’assenza di contaminazioni ambientali e il freddo estremo migliorano la produzione di chip e medicinali. Lo scorso novembre l’Agenzia spaziale britannica ha staccato un assegno di 7,9 milioni di sterline per la costruzione di un laboratorio di ricerca in orbita. Joshua Western, ad e co-fondatore di Space Forge, che non ha esplicitato il volume di investimento, ha detto che il gettone consentirà alla startup “di sviluppare la produzione della sua architettura ForgeStar”.

Fondi ai fondi

Oltre alle quattro startup, il Fondo della Nato, sede in Olanda, ha anche investito in quattro fondi che si occupano di sostegno nelle prime fasi di lancio di aziende innovative. Nello specifico, si tratta di Alpine Space Ventures, un fondo early-stage di Monaco che ha in portafoglio cinque società del segmento aerospazio; Otb Ventures, sede ad Amsterdam, che spazia dal fintech alla sicurezza informatica; Join Capital (Berlino), più focalizzato sul mondo industriale; Vsquared Ventures, anch’esso tedesco, rivolto al deep tech, dalla transizione energetica all’informatica.

Non è chiaro quanta parte del suo tesoretto da un miliardo la Nato abbia mobilitato in questo primo valzer. L’impegno è ad assicurare sostegno per 15 anni dal punto di vista finanziario, oltre che vie agevolate per testare e commercializzare la propria tecnologia. L’intento è dare sicurezza economica su settori talmente sperimentali da spaventare gli investitori che si aspettano un ritorno immediato, rilanciare l’innovazione in Europa e controbilanciare la sfida con la Cina, sempre più potente in campo tech e scientifico.

Fonte : Wired