L’unica carta che abbiamo in Europa è Tajani

Il momento della verità si avvicina. Se in Italia Giorgia Meloni ha confermato il suo primato tra le forze politiche ed è sempre più egemone nella sua maggioranza, a Bruxelles la musica cambia e di molto. La matematica, che non è un’opinione, dice che non esistono maggioranze possibili senza i due principali partiti, che sono il Ppe e il Pse. E i socialisti hanno sin da dubito messo il loro veto su Ecr, il gruppo dei conservatori europei di cui la stessa Meloni è presidente. Rispetto al passato, quando a dare le carte sui tavoli che contano c’era il Partito Democratico (azionista di peso del secondo governo Conte e partito principale del governo Renzi), l’Italia è rappresentata da una forza che nell’Europarlamento è isolata e minoritaria.

Il bivio: destra di lotta o di governo?

La premier teme l’irrilevanza, che si concretizzerebbe nel non riuscire a portare a casa la nomina di un commissario di peso munito di un buon portafoglio o quantomeno con una carica simbolica come l’immigrazione, da potersi giocare in casa per fare un po’ di propaganda. Allo stesso tempo, deve riuscire a mediare con i suoi alleati più estremi, come gli spagnoli di Vox e i polacchi del Pis guidati dall’ex premier Mateusz Morawiecki, che non vogliono mettere in nessun modo il cappello su un bis di Ursula von der Leyen e hanno già minacciato di andare altrove. Il bivio di fronte al quale si trova Giorgia Meloni è sotto gli occhi di tutti: deve scegliere se collaborare, anche in modo marginale, con le forze egemoni a Bruxelles e in qualche modo “diventare grande”, o se tornare nel recinto dei bambini che urlano, quello della destra, magari chiudendosi a fortino in un gruppo con due alleati ingombranti come Viktor Orbán e Marine Le Pen, che difficilmente le lascerebbero lo spazio di cui gode ora.

Accordo di massima su von der Leyen, Meloni ai margini dei giochi importanti

Per ora l’inquilina di Palazzo Chigi ha preso tempo, sfilandosi con piglio polemico dalla trattativa per i top jobs e rinviando tutto a fine giugno, quando bisognerà chiudere la partita. La speranza è quella di riuscire a inserirsi in qualche modo nella partita a scacchi tra Ppe e Pse: i popolari vorrebbero concedere ai socialisti solo un “mezzo mandato” per la presidenza del Consiglio, confermando il portoghese Costa fino al 2026 per poi andare a occupare anche quella casella, ma su questa ipotesi le due forze maggioritarie si stanno scontrando. Verosimilmente quella dei popolari è una mossa tattica per ottenere qualcosa di più sul tavolo dei commissari e il 29 giugno l’accordo sarà blindato. A quel punto Meloni dovrà decidere se tornare a fare la destra di lotta, quella che per altri cinque anni urlerà contro le decisioni di Bruxelles su immigrazione, transizione green e vincoli di bilancio, oppure far parte della squadra partendo dalla panchina, con il rischio di perdere consensi in casa.

Tajani a Bruxelles conta più di Giorgia

Chi in queste ore sta mostrando un certo dinamismo e ha sicuramente più voce in capitolo è il leader di Forza Italia, Antonio Tajani. Forte della buona affermazione del partito, guida l’unica forza dell’attuale maggioranza a far parte della coalizione che sostiene Ursula von der Leyen. Dall’interno del Ppe sta cercando di portare a casa una vicepresidenza e un commissario con un portafoglio di peso. Il problema è che il personale politico che il centrodestra può mettere in campo è davvero limitato e nomi come quello del ministro dell’Agricoltura e cognato della premier, Francesco Lollobrigida, sembrano più campati in aria degli articoli che si leggono su certe riviste scandalistiche. Il profilo più credibile è quello dell’attuale direttrice del Dis, Elisabetta Belloni, che potrebbe avere la delega alla Difesa, un ruolo non certo di primo piano. Insomma, chi si aspettava un’Italia più forte e protagonista in Europa, resterà molto deluso: con Meloni l’Italia rischia di avere un ruolo assai più marginale rispetto a quello che ebbe con Giuseppe Conte e Matteo Renzi. 

Fonte : Today