Preservare la libertà di stampa nei territori colpiti dalla guerra

Nei territori colpiti dalla guerra, la libertà di stampa assume un’importanza ancora più rilevante. In contesti di conflitto, infatti, l’accesso a informazioni accurate e imparziali diventa essenziale per raccontare la realtà con cui le persone devono fare i conti quotidianamente. Tuttavia, spesso questi territori sono teatro di gravi violazioni della libertà di stampa, con giornalisti minacciati, intimiditi e persino uccisi per il loro coraggio nel documentare la verità. La censura, la propaganda e la disinformazione sono armi comuni utilizzate per manipolare la narrazione e controllare il flusso delle informazioni.
In questo contesto, difendere e proteggere la libertà di stampa diventa una priorità, affinché sia possibile garantire che la verità possa emergere e che le voci delle persone colpite vengano ascoltate.
Un esempio drammaticamente calzante è rappresentato dagli attacchi israeliani subiti da 7 giornalisti nel sud del Libano.

Attacco israeliano ai giornalisti

Un gruppo costituito da 7 giornalisti si stava spostando per effettuare un reportage nel sud del Libano; tutti i membri indossavano elmetti e giubbotti antiproiettile con la scritta “press” (stampa), sia per proteggersi che per rendersi riconoscibili.
Alle 17 circa del 13 ottobre 2023, il gruppo si è fermato, per circa un’ora, in un luogo all’aperto, nei pressi del villaggio di Alma al-Chaab nel distretto di Tiro, con lo scopo di documentare gli scontri in corso tra le forze israeliane e Hezbollah.
La posizione era stata scelta proprio perché ben visibile (i professionisti si trovavano su una collina) e sufficientemente lontana dai conflitti.
Sul cofano di ogni auto campeggiava la scritta ‘TV’, ben visibile.

Ha affermato Carmen Joukhadar, reporter di Al Jazeera:
“Eravamo sette giornalisti, equipaggiati con giubbotti da stampa, elmetti, tre auto e diverse telecamere su treppiedi. In breve, era impossibile non riconoscerci”.

Durante la loro permanenza, un elicottero Apache israeliano e, probabilmente, anche un drone hanno stazionato sopra di loro per più di 40 minuti (fatto attestato dalle riprese fatte dagli stessi giornalisti).
Esattamente un minuto e 23 secondi prima del primo attacco, i giornalisti hanno puntato le loro telecamere verso sud-ovest, in direzione di Hanita, cominciando a riprendere una postazione militare israeliana al confine col Libano.
I filmati girati da tre diverse telecamere mostrano infrastrutture militari israeliane e un carro armato israeliano Merkava che spara in direzione dell’area di El-Dabche nel Libano.

Alle 18.02, un carro armato israeliano ha aperto il fuoco sui giornalisti, uccidendo Issam Abdallah e ferendo gravemente Christina Assi.
A distanza di 37 secondi si è tenuto un secondo attacco, effettuato con un’arma differente, che ha colpito il luogo dove si trovava l’auto bianca di Al Jazeera, che ha preso fuoco.
A causa dell’attacco, Christina Assi ha perso una gamba. Dylan Collins ha riportato ferite da schegge al viso, alle braccia e alla schiena. Maher Nazeh ferite da schegge alle braccia, Thaier al-Sudani ferite da schegge sull’intero lato sinistro del corpo, Carmen Joukhadar ferite da schegge e altre lesioni, in particolare nella parte inferiore del corpo e, infine, Elie Brakhya gravi lesioni su entrambe le braccia e la spalla rotta.

Indagare sui crimini di guerra

Amnesty International ha aperto un’indagine a riguardo, esaminando oltre 100 video e fotografie, analizzando frammenti di armi rinvenuti sul posto e intervistando nove testimoni.
In seguito agli accertamenti si è arrivati alla conclusione che il gruppo di giornalisti fosse chiaramente visibile e identificato come tale. Dunque l’esercito israeliano sapeva che si trattava di civili; nonostante ciò, li ha attaccati ugualmente per ben due volte.
Le valutazioni, inoltre, non hanno evidenziato la presenza di obiettivi militari sul luogo degli attacchi, confermando ulteriormente il sospetto che tali attacchi fossero stati diretti, intenzionalmente, contro civili.

Aya Majzoub, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord, ha dichiarato:
“Dalla nostra indagine sono emerse inquietanti prove di attacchi a un gruppo di giornalisti internazionali che stavano svolgendo il loro lavoro, documentando il conflitto. Gli attacchi diretti ai civili e gli attacchi indiscriminati contro obiettivi civili sono assolutamente vietati dal diritto internazionale umanitario e possono costituire crimini di guerra”.

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Non è la prima volta che Israele viene coinvolta in situazioni simili: nel maggio 2023, ad esempio, il Committee to Protect Journalists ha dichiarato che nei precedenti 22 anni nessun membro delle forze armate israeliane era stato incriminato o ritenuto responsabile dell’uccisione di almeno 20 giornalisti.

Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani hanno rilevato numerosi casi nei quali Israele ha goduto di quasi totale impunità per le violazioni commesse dalle sue forze di sicurezza, tra cui possibili crimini di guerra.
Per questo è di fondamentale importanza condurre un’indagine indipendente e imparziale.

Insieme per un mondo più equo

L’operato di Amnesty International è di vitale importanza per poter continuare a vigilare e porsi a fianco di chi vede calpestati i propri diritti.
Da 60 anni, l’Organizzazione si dedica alla difesa dei diritti umani ed è in grado di mobilitare milioni di persone nel mondo attraverso le campagne promosse.
Tale impegno collettivo è rivolto ad apportare cambiamenti nelle vite non solo dei singoli individui, ma di intere comunità.
I temi di cui si occupa comprendono violenza di genere, diritto all’istruzione, abolizione pena di morte e libertà di espressione.
A tal proposito, di recente è stata organizzata una maratona di raccolta firme a sostegno della libertà d’informazione, tenutasi dal 3 aprile al 3 maggio, data in cui ricade la Giornata mondiale della libertà di stampa.

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Le battaglie di cui Amnesty International si fa portavoce sono lunghe, ma è importante non abbassare la guardia, affinché le prossime generazioni possano godere di una realtà migliore.
Ad oggi, l’operato del movimento ha consentito di salvare oltre 50.000 persone, ma è necessario continuare a lavorare insieme, per non perdere il terreno guadagnato nel campo dei diritti.
Per questo, è necessario il contributo di tutti.

Ogni persona può offrire il proprio aiuto destinando il 5×1000 ad Amnesty International: per farlo, basta mettere la propria firma e inserire il codice fiscale 03031110582.
È fondamentale rimanere uniti, per promuovere la libertà collettiva e personale, perché #Amnestyseitu.

Fonte : Today