AGI – Il vescovo di Roma si reca in quello che una volta era il contraltare del potere papale sull’Urbe e annuncia: una porta santa, come se fosse in una basilica maggiore, verrà aperta in un carcere romano. Il Giubileo che verrà inaugurato a fine anno non può prescindere da un atto non di clemenza, ma di riconoscimento. Il riconoscimento del fatto che, dice lo stesso Bergoglio al sindaco e agli amministratori della Capitale, “le persone sole, quelle malate, i carcerati, gli esclusi devono essere “i più veritieri testimoni” di un autentico spirito di inclusione, sintetizzabile nell’espressione “incontro tra il centro e le periferie”. Possano così, quanti subiscono la cultura dello scarto, “testimoniare che l’autorità è pienamente tale quando si pone al servizio di tutti, quando usa il suo legittimo potere per venire incontro alle esigenze della cittadinanza e, in modo particolare, dei più deboli, degli ultimi”. Grande perché nessuno esclude, forte perché nessuno elimina: ecco la Roma di Bergoglio, che firma non a caso il Libro d’oro nella sua veste di titolare di diocesi e non di Pontefice Massimo
Seconda visita in Campidoglio per Papa Francesco, la precedente cinque anni fa. Allora c’era Virginia Raggi, oggi è il turno di Roberto Gualtieri ad accoglierlo. Lui siede quasi tutto il tempo sulla sedia a rotelle, come costantemente gli capita negli ultimi mesi. Primo Cittadino ed erede di coloro che una volta erano a Roma sovrani e reggitori si soffermano una prima volta ad ammirare, come da protocollo, la veduta dei Fori dal Tabularium, che una volta era l’archivio di Stato del cuore dell’impero. Inevitabile la citazione dei precedenti storici: uno degli ultimi atti prima di Porta Pia fu un’altra visita, sempre in Campidoglio, dell’ultimo Papa Re, e con essa lo stanco Papa Mastai Ferretti volle quasi prendere congedo da un fardello che durava da mille anni. Secoli di potere temporale in cui “non tutti i comportamenti furono felici”, chiosa oggi Bergoglio, parlando a braccio. Ma nemmeno tutto fu da buttare, se è vero che – sempre Francesco precisa – il cristianesimo dette “alle istituzioni la possibilità di evolvere a uno stadio più elevato, abbandonando a poco a poco – per esempio – un istituto come quello della schiavitù, che anche a tante menti colte e a cuori sensibili era parso come un dato naturale e scontato, per nulla suscettibile di essere abolito”.
Parrebbe un lezioso richiamo storico, ma non lo è. È, semmai, un voler ricordare che gli esclusi e gli sfruttati sono in mezzo alle società, in qualsiasi situazione storica e nonostante i migliori sforzi della mente umana. Motivo per cui Bergoglio ascolta con interesse e apprezzamento quando Gualtieri parla delle iniziative sociali del comune, ricordando che i beni confiscati al crimine organizzato vengono usati adesso per progetti di tutela e promozione dei meno fortunati. Ugualmente fa, il Papa, quando il sindaco rileva: “Oggi assistiamo ad una pagina nuova di una storia” in cui si cammina “fianco a fianco per affrontare sfide inedite” come l’accoglienza, l’inclusione, l’ecologia integrale e la fraternità. Roma, lo rassicura ancora Gualtieri, “parla al mondo di pace e dialogo interreligioso, di come affrontare insieme emergenze globali come quella climatica”.
Poi sta a lui, al Pontefice, ricordare che l’Anno santo ormai incombente “non può non coinvolgere anche la città sotto il profilo delle attenzioni e delle opere necessarie ad accogliere i tanti pellegrini che la visiteranno, aggiungendosi ai turisti che vengono ad ammirare il suo immenso tesoro di opere d’arte e le grandiose tracce dei secoli passati. Roma è unica”, così come “potrà avere una ricaduta positiva sul volto stesso della città, migliorandone il decoro e rendendo più efficienti i servizi pubblici, non solamente nel centro ma favorendo l’avvicinamento tra centro e periferie”.
“È molto importante”, chiosa, “perché la città cresce e questo rapporto diviene ogni giorno più importante, Per questo io vado nelle periferie, perché si sente che il vescovo è vicino”. Insomma, vicinanza e impegno; servi dei servi.
“Per questo ho deciso di aprire una porta santa in un carcere”, spiega dando un annuncio inaspettato. Quando si trattò del giubileo straordinario del 2015 l’atto dirompente fu l’apertura di una porta santa a Bangui, nella Repubblica Centrafricana. Periferia del mondo. Oggi la periferia che viene indicata è quella esistenziale degli esclusi e dei reietti, pur così fisicamente vicini al cuore del mondo cattolico.
“Continui Roma a manifestare il suo vero volto, un volto accogliente, ospitale, generoso, nobile”, chiede quindi il Papa sottolineando la buona intesa con le autorità romane e italiane, “L’enorme afflusso nell’Urbe di pellegrini, turisti e migranti, con tutto ciò che significa in termini di organizzazione, potrebbe essere visto come un aggravio, un peso che frena e intralcia lo scorrere normale delle cose. In realtà, tutto questo è Roma, la sua specificità, unica al mondo, il suo onore, la sua grande attrattiva e la sua responsabilità verso l’Italia, verso la Chiesa, verso la famiglia umana”.
Città speciale, compiti speciali: “Ogni suo problema è il rovescio della sua grandezza e, da fattore di crisi, può diventare opportunità di sviluppo: civile, sociale, economico, culturale”. Cinquant’anni fa una Chiesa disillusa convocava convegni sui mali di Roma. Oggi indica alla città il modo di essere all’altezza della sua tradizione. Che è fatta di errori e “comportamenti poco felici”, ma anche di una certa quanto innegabile grandezza.
Fonte : Agi