Corrado Rustici: “Chi riesce a vedere oltre l’orizzonte si chiama artista”

In Breviario del produttore artistico Corrado Rustici descrive, attingendo dai suoi oltre cinquant’anni di esperienza nell’industria musicale, il ruolo del produttore artistico spiegandone i compiti, le specificità e le conoscenze necessarie. L’autore ci guida nelle trasformazioni che hanno subito l’ambiente e la musica, portando esempi e situazioni vissute sulla propria pelle analizzandoli da tutti i punti di vista.

Corrado partiamo dalla storia del libro: cosa ti ha portato a optare per il breviario e non per una biografia?
La biografia riguarderebbe solo me e sono pudico al riguardo, non credo sia importante, magari in futuro arriverà, me la stanno chiedendo. Questa è una sfida più interessante, ho capito che con gli anni ho acquisito esperienze da condividere con chi si avvicina a questo mondo.

Hai affidato la prefazione a Narada Michael Walden che possiamo considerare il tuo passe-partout per il mondo delle produzioni: che emozione ti ha dato leggere con amore e riconoscenza?
Abbiamo iniziato insieme, è la persona che più mi ha trasmesso, è stato il ponte per arrivare in America e poi per tornare indietro quando io ho portato quel know how in Europa. Ci conosciamo da 50 anni e mi ha introdotto nella sfera dei grandi del mondo. Se scrive così significa che forse anche io gli sono servito a qualcosa.

Sapere che l’eredità del viaggio artistico dei Nova sia tutt’oggi un elemento di modernità ti porta a riflessioni particolari sulla concezione odierna della musica?
Lui lavorava con mostri sacri quali John McLaughlin mentre io venivo da Napoli e mi ritrovo nello studio Jeff Beck e George Martin. Mi ha presentato, mi ha dato tanto coraggio e tanta voglia di continuare a imparare. Oggi c’è internet che ci isola. Il cambio generazionale è necessario, si spera possa essere evolutivo ma a volte non è un miglioramento. Oggi le nuove leve si confrontano con un repertorio musicale minimo, devono limitare la creatività per esigenze di vario tipo.

Organizzare una produzione significa identificare soluzioni sonore: di solito si parte da una idea dell’artista che tu elabori o al contrario tu porti l’artista su un sentiero da te tracciato?
Dipende, alcuni hanno una forza di scrittura che non puoi cambiare più di tanto. Altre volte trovi una idea sulla quale lavorare. I Beatles nel primo album fecero dieci canzoni scritte, registrate e mixate in un giorno nel primo. Oggi si sta chiusi e non c’è scambio né ricambio.

Racconti che la comunità culturale è portatrice di idee: quella attuale è stimolante oppure l’avvento dei social ha anestetizzato le fonti di ispirazione?
Io ho vissuto la bolla anomala dell’industria discografica, il rinascimento discografico non esiste più. Non vedo cambiamenti a breve, la grande differenza è che una volta c’erano pazzi che investivano su tecnologia, vinile, radio…investi e vuoi guadagnare, ed è sacrosanto, ma poi una parte dei guadagni veniva reinvestita su artisti a margine, i più innovativi, quelli cui poi attingevano i grandi. Oggi manca dall’industria quell’impegno economico. Preferiamo quello che già conosciamo, vogliamo la stessa cosa ma diversa. La può essere poi livellata out of tune, cambiano solo i testi.

Ricorrere all’autoproduzione è solo una questione di budget oppure ha altre motivazioni?
Nasce dal budget, ora puoi comprarti un plugin e operare con quello. Poi con internet la musica è diventata per tutti: non c’è una uguaglianza di opportunità ma una conformità di espressione. Ma sono certo che i geni useranno la tecnologia per fare grandi cose.

Quelli che chiami i “cavalli di troia” sonori possono essere creati per qualunque artista oppure solo con alcuni?
E’ una mia tecnica per dare profondità all’impatto di una canzone, detraendo o aggiungendo.

Oggi c’è quella che io chiamo la generazione skip: quanto dovere restare tendenzialmente sotto i tre minuti impatta sul tuo lavoro?
Il long-playing impediva lo skipping, oggi le nuove generazioni sono annoiate dalla vita. La musica era usata come strumento sociale e culturale col quale ci identificavamo per cambiare il mondo, in parte ci siamo riusciti e in parte no.

C’è un artista che hai sfiorato ma col quale non hai mai collaborato e ti manca?
Il mio grande sogno è Joni Mitchell, che ha cambiato il modo di scrivere. Per il resto sono in pace con me stesso. Anzi ci sarebbero i Beatles.

Esiste una generazione 2.0 di produttori artistici?
Ci sono bravissimi fabbri di note che confeziona cose molto efficaci. Ogni tanto arriva qualcuno che fa rizzare le orecchie, sono artigiani che si dedicano a questa arte attraverso nuove idee. Ognuno di noi ha le sue capacità, chi riesce a vedere un po’ oltre l’orizzonte si chiama artista.

Cosa puoi dirmi delle produzioni cui stai lavorando ora?
Ho finito una collaborazione con un artista col quale ho già collaborato in passato ma non posso dirti il nome. Poi esce a scaglioni un album di Filippo Bertipaglia, un chitarrista di caratura internazionale, secondo me il prossimo Tommy Emmanuel. Infine è il cinquantenario del mio primo gruppo che si chiama Cervello e qualcosa succederà.

Fonte : Sky Tg24