L’energia da fusione nel mondo e la strada verso la sua commercializzazione

L’energia da fusione “ha il potenziale per fornire una soluzione duratura alle sfide globali del cambiamento climatico e della sicurezza energetica”: lo hanno scritto i paesi membri del G7 nel comunicato conclusivo della riunione Clima, Energia e Ambiente, tenutasi a Venaria Reale lo scorso aprile. Nel documento è presente l’impegno a creare un gruppo di lavoro sulla fusione per condividere le migliori pratiche e favorire il coordinamento sugli aspetti regolatori, in modo da stimolare la crescita degli investimenti pubblici e privati e accelerare lo sviluppo degli impianti di energia da fusione.

La fusione che l’umanità sta inseguendo è simile al processo che alimenta le stelle, incluso il Sole, la cui energia radiante viaggia per milioni di chilometri nello spazio fino a raggiungere la Terra, permettendovi la vita. La fusione si svolge in maniera sostanzialmente opposta alla fissione, il processo utilizzato nelle centrali nucleari oggi attive nel mondo: non genera infatti energia dalla rottura di atomi pesanti, come l’uranio, bensì dall’unione di atomi leggeri, come il deuterio e il trizio (due isotopi dell’idrogeno). La reazione di fusione produce grandi quantità di energia in maniera costante e senza emissioni di gas serra; il processo, peraltro, oltre all’elevata sicurezza, è virtualmente inesauribile per via delle poche quantità di deuterio e trizio necessarie nel processo. Il deuterio è ricavabile dall’acqua di mare, mentre il trizio può essere prodotto tramite una reazione fisica con il litio, durante lo stesso processo di fusione.

Lo sviluppo delle tecnologie per l’energia da fusione non è ancora completo, ma la comunità scientifica e industriale sono in fermento. Stando al World Fusion Outlook 2023 dell’IAEA, l’Agenzia internazionale dell’energia atomica, ci sono più di centoquaranta macchinari per la fusione – tra attivi, in costruzione o in fase di progettazione – nel mondo, frutto di progetti pubblici e privati e di approcci diversi: la maggioranza degli sforzi però si concentra su macchine chiamate “tokamak”, grandi reattori dalla forma toroidale (ricordano delle ciambelle, semplificando molto) necessari per realizzare la fusione a confinamento magnetico, cioè quella particolare tecnologia di fusione che utilizza potentissimi campi magnetici per confinare e mantenere la reazione di fusione.

La collaborazione pubblico-privato

Trattandosi di una tecnologia fortemente innovativa e dal grande potenziale trasformativo, molti progetti sulla fusione sono sostenuti dal settore pubblico. È il caso, ad esempio, della National Ignition Facility, una struttura del Laboratorio nazionale Lawrence Livermore, negli Stati Uniti, divenuta famosa per aver ottenuto, per la prima volta, una reazione di fusione dal bilancio energetico positivo: era il dicembre del 2022; l’esperimento è stato poi ripetuto con successo nell’agosto 2023.

Più recentemente, lo scorso febbraio i ricercatori del Joint European Torus (JET), nel Regno Unito, hanno fatto sapere di aver stabilito un nuovo record di energia generata dalla fusione via tokamak. Qualche mese prima, a dicembre, a Naka, in Giappone, è stato inaugurato il reattore JT-60SA: al progetto ha partecipato anche ENEA, l’Agenzia nazionale italiana per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Nell’aprile 2023 in Cina  l’Experimental Advanced Superconducting Tokamak (EAST) ha mantenuto lo stato di confinamento del plasma per 403 secondi, un record. Sempre nel 2023, in Germania lo stellarator Wendelstein 7-X (un’altra tipologia di macchinario per la fusione a confinamento magnetico) ha mantenuto una scarica di plasma per otto minuti. Intanto, nella Francia meridionale prosegue lo sviluppo di ITER, il più grande progetto sperimentale e intergovernativo di fusione a confinamento magnetico.

Fonte : Wired