Cosa dicono la legge Bossi-Fini e il decreto flussi e perché non funzionano

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha espresso la volontà di riformare la legge Bossi-Fini e il decreto flussi. Ossia uno dei pacchetti che regola le politiche migratorie in Italia e che porta la firma del fondatore della Lega Nord, Umberto Bossi, e di Gianfranco Fini, ex leader di Alleanza nazionale, il partito in cui Meloni ha militato e sulle cui ceneri ha fondato Fratelli d’Italia.

La premier ha presentato alla Procura antimafia un esposto sulle infiltrazioni criminali nei flussi migratori regolari e ha anche chiesto l’inserimento della questione migratoria all’ordine del giorno del prossimo Consiglio europeo, con il neanche troppo velato obiettivo di riportare il tema immigrazione in cima all’agenda poco prima delle elezioni europee e di sfruttare il tema a scopi di propaganda elettorale. Da anni ong come Action Aid denunciano i problemi generati dalla Bossi-Fini per cambiarne i meccanismi, senza successo.

Cosa funzionano la legge Bossi-Fini e il decreto flussi

La legge Bossi-Fini, approvata nel 2002, regola le politiche migratorie in Italia e prende il nome dai firmatari, l’ex leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini e dall’ex segretario della Lega Nord Umberto Bossi, all’epoca alleati di governo. Questa legge ha sostituito la precedente Turco-Napolitano e ha introdotto misure restrittive per l’ingresso e la permanenza degli immigrati. In particolare, ha collegato strettamente il permesso di soggiorno alla stipula di un contratto di lavoro: il provvedimento prevede anche rilevamento delle impronte digitali, espulsioni immediate per gli irregolari e sanzioni severe per i falsi matrimoni e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Una delle disposizioni più controverse è il respingimento in mare, criticato per la possibile violazione dei diritti dei richiedenti asilo.

I decreti flussi, invece, sono atti amministrativi annuali che determinano le quote massime di cittadini non comunitari ammessi per lavoro. Emesso dalla presidenza del Consiglio, il decreto flussi delinea le politiche per l’integrazione degli immigrati: l’implementazione, secondo il governo, ha mostrato delle discrepanze tra il numero di visti concessi e i contratti di lavoro effettivamente stipulati, alimentando i sospetti di abusi e infiltrazioni criminali.

Per affrontare questo dossier, Meloni ha proposto di tornare a una versione originaria della legge Bossi-Fini, che consentiva l’ingresso in Italia solo a chi era già titolare di un contratto di lavoro. Secondo Meloni, solo una frazione degli stranieri che ottengono il visto d’ingresso tramite il click day stipula un contratto, mentre molti scompaiono nel territorio italiano senza lasciare traccia. Inoltre, il governo mira a rivedere i decreti flussi, includendo una verifica più rigorosa delle domande di nulla osta al lavoro, migliorando la collaborazione con le associazioni di categoria e rafforzando i canali di ingresso speciali.

L’esposto

In particolare, le accuse di Meloni si focalizzano sull’uso del decreto flussi in alcune regioni. Su tutte, Campania e Puglia. Dai dati diffusi da Palazzo Chigi, sui permessi per lavoro stagionale, cioè per lavoro in campo agricolo o turistico-alberghiero, nel 2023, su un totale di 282.000 domande, 157.000 arrivano dalla Campania, mentre 20.000 arrivano dalla Puglia. Solo che, per esempio nel settore agricolo, la Puglia ha circa il 12% delle imprese agricole italiane e la Campania solo il 6%. Secondo Meloni, “dato ancora più preoccupante è che a fronte del numero esorbitante di domande di nulla osta, solo una percentuale minima degli stranieri che hanno ottenuto il visto per ragioni di lavoro in base al decreto flussi ha poi effettivamente sottoscritto un contratto di lavoro. In Campania, meno del 3% di chi entra con un nulla osta sottoscrive poi un contratto di lavoro”. Per Meloni è la prova che “i flussi regolari di immigrati per ragioni di lavoro vengono utilizzati come canale ulteriore di immigrazione irregolare. Significa che, ragionevolmente, la criminalità organizzata si è infiltrata nella gestione delle domande”.

La replica

Tuttavia, è la scoperta dell’acqua calda. Action Aid da anni denuncia il fallimento del sistema del decreto flussi. “A Palazzo Chigi, evidentemente, hanno letto il nostro report, presentato pochi giorni fa”, commenta dichiara la campagna Ero straniero. L’umanità che fa bene, promossa da A Buon Diritto, ActionAid, Asgi, Federazione Chiese Evangeliche Italiane (Fcei), Oxfam, Arci, Cnca, Cild, Fondazione Casa della carità “Angelo Abriani”, con il sostegno di decine di organizzazioni., che aggiunge che Meloni “ha – finalmente – parlato di dati “allarmanti” relativi agli ingressi per lavoro in Italia e che, in alcuni passaggi, sembra proprio citare il nostro report, come quando afferma che esiste uno scarto significativo tra il numero di ingressi in Italia per motivi di lavoro e i contratti di lavoro che vengono poi effettivamente stipulati. Di fatto, vengono riprese, una per una, tutte le evidenze emerse dal lavoro di monitoraggio che la campagna sta svolgendo proprio affinché siano note al paese – e ai decisori politici innanzitutto – le criticità e storture di un sistema che non solo non funziona, perché inutilmente rigido e non adeguato alle richieste del mondo produttivo e al contesto economico e geo-politico attuale, ma che finisce per creare irregolarità, lavoro nero e precarietà”, –

Fonte : Wired