Il discorso si allarga andando a vedere quanti sono gli influencer seguiti: il 67% del campione coinvolto nell’indagine afferma infatti di seguire almeno un influencer; di questi, il 56% ne segue più di 10, con un numero medio di influencer seguiti pari a 18 (numero aggiornato al 2022). Analizzando i numeri è evidente come all’aumentare di pubblicità, stimoli, consigli e indirizzi che ogni giorno tempestano i nostri feed e le nostre stories, in una quotidianità fatta (legittimamente) di tanto altro, con la soglia dell’attenzione tutto fuorché alta, in un contesto di diverstissement come resta quello dei social – il 58% degli intervistati, d’altronde, sostiene di seguire primariamente gli influencer per passare il tempo e distrarsi, solo il 45% per conoscere nuovi prodotti e servizi -, è legittimo pensare che le valutazioni di tanti possano essere suscettibili di errori anche grossolani.
Osservare questi dati non significa voler demonizzare i creator, né far passare il messaggio che chi crea contenuti pubblicitari online lo stia facendo per ingannare il prossimo, anzi. Almeno empiricamente, però sembra evidente una auto-sopravvalutazione dell’utente medio che bazzica le piattaforme. Ed è in questo margine di errore, di fraintendimento, che vorrebbe intervenire l’Agcom per regolare il settore. Il problema di fondo, però, è capire di cosa parliamo quando parliamo di influencer. Nelle regole entrate in vigore a gennaio, infatti, l’Agcom ha fatto prevalere valutazioni di tipo quantitativo, più che di mission. Nel mirino sono finiti i creator con oltre 1 milione di follower, con almeno 24 post sponsorizzati nell’anno precedente e con un tasso di engagement di almeno il 2% negli ultimi sei mesi. Questi numeri non tengono conto di una pletora sconfinata di profili di piccole e medie dimensioni che operano, rispetto ai contenuti sponsorizzati, esattamente come gli influencer più grandi. Secondo questi criteri, a dove essere regolati in Italia sono appena 1.500 profili.
Tornando ai dati della ricerca Bva Doxa e Flu, il 77% degli intervistati sostiene di seguire profili con un numero di follower inferiore o nettamente inferiore al milione: se si vuole agire a tutela di tutti, è necessario trovare regole che vadano oltre la mera analisi quantitativa; ed è proprio ciò che complica il lavoro che si sta portando avanti in questi mesi. E non parliamo di briciole: il 66% degli intervistati afferma di aver acquistato prodotti dopo averli visti utilizzati sui social proprio dagli influencer. Sottovalutare questi aspetti significa non riconoscere come quello della influence economy sia, a tutti gli effetti, un mercato con un suo peso specifico nel contesto italiano di oggi.
Fonte : Wired