“Eluana Englaro mantenuta in vita per concezioni personali”: l’ex dg della sanità lombarda condannato a pagare 175mila euro

Svolta nel caso Eluana Englaro, la 39enne morta nel 2009 dopo aver trascorso 17 anni in stato vegetativo irreversibile causato da un gravissimo incidente stradale. L’anno prima, il padre della giovane si era visto negare la possibilità di interrompere l’alimentazione artificiale che teneva in vita sua figlia dal direttore generale della sanità lombarda Carlo Lucchina. A spingere quest’ultimo a negare l’interruzione del trattamento è stata una “concezione personale ed etica del diritto alla salute”.

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Lo scrive la Corte dei conti condannando l’ex dg a pagare all’erario i 175mila euro che la Regione aveva dovuto risarcire a Beppino Englaro. Il padre di Eluana era stato costretto a traferire la figlia in una struttura sanitaria in Friuli dove morì. Lo riporta l’edizione milanese del Corriere della Sera, al quale l’ex manager pubblico Lucchina spiega che non fu “un’obiezione di coscienza, ma sono state applicate le direttive arrivate anche dall’Avvocatura regionale”. Verrà valutato un possibile ricorso alla Suprema corte.

Il caso

Con una a sentenza storica, nel 2007 la Cassazione ha stabilito che ciascun individuo può rifiutare le cure alle quali è sottoposto se le ritiene insostenibili e degradanti. L’anno successivo, su questa base, la Corte d’appello di Milano aveva autorizzato la interruzione del trattamento che teneva in vita Eluana Englaro. Ma, nonostante ciò, quando Beppino Englaro chiese di staccare il sondino con cui veniva Emanuela veniva alimentata, Lucchina emanò una nota nella quale affermava che le strutture sanitarie si occupano della cura dei pazienti e di conseguenza i sanitari che l’avessero sospesa sarebbero venuti “meno ai loro obblighi professionali”.

“Potevano evitare tutto ciò che hanno combinato, ora si rendono conto, è chiaro che hanno sbagliato e ne devono rispondere”, dice Beppino Englaro al Corriere commentando la notizia della condanna. “Loro hanno ostacolato, io ho agito nella legalità, chi ha ostacolato se la vede ora. Sapevo di avere un diritto ed era chiaro che lo ostacolavano, tanto che sono dovuto uscire dalla Regione. Ora sono problemi loro, io giustizia me la sono dovuta fare da me, sempre nella legalità e nella società”.

Il diniego di Lucchina, si legge nella sentenza, è “frutto di una personale ed autoritativa interpretazione del diritto alla vita e alla salute”, né, secondo la Corte, nemmeno potevano essere paventate conseguenze per le struttura ed i sanitari che avessero sospeso l’interruzione dei trattamenti. 

Fonte : Today