Rino Gaetano ha scoperto la terza via del pop

Il fatto è che Rino Gaetano non somigliava a nessuno dei suoi contemporanei. Certo, oggi è stato riscoperto, come dimostrano peraltro le commemorazioni in occasione della morte, avvenuta il 2 giugno 1980 in circostanze che combaciano bene con quegli intrighi di potenti e complotti – da non prendere mai troppo sul serio però, perché ne aveva per tutti – tipici delle sue canzoni. C’è Brunori Sas, per dire, che con lui ha un filo diretto, ma anche all’epoca, prima che la sua musica finisse nell’oblio per gli anni ottanta, nientemeno che Vasco Rossi gli doveva già tanto, nato com’era dalla costola rotta del cantautorato classico. Ma all’epoca, di nuovo, non c’era nessuno così: è stato il primo a indicare una terza via tra pop da classifica e cantautorato duro e puro, che oggi resta una lezione da non dimenticare.

Un cantautore operaio

Nonostante il pubblico se ne sarebbe accorto solo l’anno dopo, nel 1975, con Ma il cielo è sempre più blu – che infatti, quando a inizio duemila verrà remixata, darà inizio alla riscoperta, perché davvero era “avanti” – aveva già dato prova del suo talento con Ingresso libero, un disco d’esordio folgorante, che all’interno non ha magari un grande classico, a parte forse Ad esempio a me piace… il sud, e non è un capolavoro come il successivo Mio fratello è figlio unico (del 1976, l’unico della sua carriera, gli altri soffriranno un po’ il contraccolpo del successo inatteso), ma davvero sembra uscito oggi nonostante sia stato pubblicato cinquant’anni fa, tanto che ora torna nei negozi con una ristampa in vinile.

Intorno, soprattutto, non aveva concorrenti. Lucio Dalla si era appena imbarcato nell’impresa di scrivere tre dischi politici e quasi progressive con Roberto Roversi, poeta, comunque ostici; De Gregori e Venditti erano agli inizi, all’ombra di un cantautorato più tradizionale in stile De André; lo stesso Ivan Graziani era acerbo, nonostante con lo stesso Gaetano e a un Dalla nel frattempo messosi in proprio, qualche anno dopo, sarebbe stato tra i pionieri di questa terza via alla musica (Venditti passerà direttamente alla seconda, al pop).

Sarà allora che Gaetano arrivava a Roma dalla Calabria, venendo però a lungo spronato dalla sua etichetta, la IT, prima di vincere la tenerezza; sarà, ecco, per quel background diverso, più operaio, o forse per scienza infusa. Fatto sta che quando attacca Tu, forse non essenzialmente tu, che apre il disco con una filosofata da alcolista innamorato sull’inutilità del tempo che passa (gran modo di presentarsi, per un esordiente, tra l’altro), siamo su un altro pianeta: c’è il gusto per la melodia di Battisti, certo, ma anche dei testi da cantautore. E che testi.

Una lezione da riscoprire

Là dove gli altri scelgono la battaglia politica, il racconto diretto del disagio o formule, comunque, parecchio elevate, lui non rinuncia a niente di tutto questo, ma lo fa con una lente diversa: giocosa, ironica, a tratti anche sentimentale, popolare; da una parte, c’è una voce che sembra uscirgli dalle viscere, dall’altra l’umorismo è così stratificato che quasi nasconde il vero significato – di solito, di denuncia sociale – delle canzoni, come se ci credesse e non ci credesse, e con la posa disincantata di rito fosse un anticipatore della post-ironia che sarebbe arrivata trent’anni dopo.

Si spiegano così, in mezzo ad arrangiamenti più colorati, ricchi e mediterranei rispetto alla media dei cantautori di allora, episodi allucinati come AD 4000 D.C. (tipica sfilata di personaggi e quadretti surreali che torneranno anche più in là) o E la vecchia salta con l’asta, o pezzi più politici come L’operaio della FIAT “la 1100”, Agapito Malteni il ferroviere e la stessa Ad esempio a me piace… il sud, in cui, più che la denuncia di sorta, domina la satira, per natura più prossima alla malinconia lucida, allo spleen, che allaga brani come Supponiamo un amore. Il risultato è una specie di mistero mai del tutto decifrato, che fa sì che la sua musica non si perda mai davvero, e non sia mai troppo inflazionata.

Poi, certo, questa formula ibrida, che aveva le intenzioni dei grandi cantautori e la forma del pop d’autore, e in mezzo metteva tutta la sensibilità di Gaetano stesso, in parte, dicevamo, ha anche fatto scuola: pezzi come Gianna, che arriverà nel 1977 e in qualche modo sarà una specie di cavallo di troia, melodia spensierata e testo cattivissimo, sono alla base del percorso di artisti molto distanti da lui, come Caparezza. Nell’efficacia e la ferocia con cui ha raccontato l’Italia dei potenti degli anni settanta, del ceto impiegatizio e dei padroni, Gaetano è stato l’equivalente di quello che è stato Paolo Villagio con Fantozzi per il cinema. E oggi che c’è tanto da raccontare ma questa sorta di compromesso tra le  due vie sembra essersi perso, in favore di un pop strisciante, che arriva dovunque, Ingresso libero, con la sua essenzialità da esordiente, con quel suo essere così alieno come lo era Gaetano, musica del popolo senza populismo, cervello fino e sguardo vispo, è il suo disco più da recuperare.

Fonte : Today