Tra tutti gli oggetti cosmici scoperti (o ipotizzati) dai fisici nell’ultimo secolo, i buchi neri sono certamente i più affascinanti, misteriosi e complessi. Come spesso è accaduto nella storia della scienza, la loro esistenza è stata predetta molto prima della loro effettiva osservazione: il primo a farlo, nel 1915, fu l’astronomo e fisico tedesco Karl Schwarzschild, che la dedusse direttamente dalle equazioni della relatività generale di Albert Einstein. Dalla prima dimostrazione teorica di Schwarzschild la comunità scientifica ha fatto molti passi avanti, arrivando nel corso degli anni a caratterizzare, descrivere, simulare e fotografare queste misteriose entità. Eppure, qualcosa ancora non torna: in particolare non abbiamo ancora idea di cosa succeda al “centro” di un buco nero, dove si accumula tutta la sua massa e dove le equazioni dicono si arrivi a una cosiddetta singolarità, ossia a un punto di densità infinita. Ma un conto sono le equazioni, un altro la realtà: al momento non abbiamo idea di cosa voglia dire dal punto di vista fisico, e di cosa comporti, avere una massa infinita concentrata in un punto. E questo potrebbe voler dire che la teoria è ancora incompleta o, peggio, sbagliata. Poche settimane fa, un gruppo di scienziati della University of Gdańsk, in Polonia, ha proposto – o meglio: riproposto – un’ipotesi che potrebbe risolvere il problema della singolarità: secondo gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista Physical Review D, quelli che chiamiamo buchi neri sarebbero in realtà un’altra cosa, un oggetto chiamato gravastar (che sta per GRAvitational VAcuum STAR), con caratteristiche del tutto diverse.
Cosa sono le gravastar
L’ipotesi dell’esistenza delle gravastar è stata avanzata per la prima volta nel 2001 dagli astrofisici Pawel Mazur ed Emil Mottola, che proposero l’esistenza di “stelle gravitazionali condensate” proprio come “alternativa ai buchi neri”. Nella teoria “classica”, i buchi neri si formano in seguito al collasso gravitazionale di masse sufficientemente elevate: sostanzialmente, in questo modello, la gravità domina su tutte le altre forze e fa “implodere” la massa, che viene progressivamente attratta verso un unico punto (la singolarità, per l’appunto). Nell’idea di Mazur e Mottola, invece, in un certo momento del collasso la gravità smetterebbe di comportarsi secondo le regole “classiche” della relatività generale e assumerebbe un comportamento quantistico, del tutto diverso (avverrebbe quella che i fisici chiamano transizione di fase quantistica); e che tale comportamento eviterebbe la creazione della singolarità.
Ma qui si incontra il primo problema: al momento non esiste una teoria quantistica conclusiva e verificata della gravità: per dirlo in altre parole, non abbiamo ancora unificato la meccanica quantistica con la relatività generale di Einstein. E per questo non è possibile stabilire se la transizione di fase proposta dai due scienziati sia effettivamente plausibile. Di più: nel loro modello, Mazur e Mottola postulano anche che a seguito di questa transizione di fase tutta la materia “ingurgitata” dalla sua stessa gravità vada a finire in una sorta di “bolla” sferica di vuoto. Il che suona ancora più paradossale: come può una quantità enorme di massa trasformarsi in un vuoto? La risposta degli scienziati è che si tratterebbe del cosiddetto vuoto quantistico, pieno, a dispetto del suo nome, di una forma di energia chiamata energia del vuoto; e sarebbe proprio questa energia a “tenere in equilibrio” la gravistar, controbilanciando l’effetto attrattivo della gravità. Colpo di scena finale: questa energia potrebbe essere quella che da decenni cerchiamo invano di individuare, responsabile dell’espansione accelerata dell’Universo, quella che abbiamo chiamato energia oscura. “Le gravastar – ha spiegato a Live Science João Luís Rosa, uno degli autori del lavoro appena pubblicato – sono oggetti astronomici ipotetici introdotti come alternativa ai buchi neri. Possono essere immaginate come stelle fatte di energia del vuoto o di energia oscura: lo stesso tipo di energia che alimenta l’espansione accelerata dell’Universo”.
Diciamo no alla singolarità
“Il problema della singolarità – prosegue lo scienziato – indica che c’è qualcosa di sbagliato o di incompleto nel modello dei buchi neri, e che è necessario sviluppare modelli alternativi. Il modello delle gravastar è uno di questi, e il suo vantaggio principale è che non implica la presenza di una singolarità”. Rosa e colleghi hanno lavorato all’ipotesi di Mazur e Mottola provando a calcolare in che modo le particelle note e la radiazione elettromagnetica potrebbero interagire con le gravastar, se queste esistessero per davvero. In particolare, gli autori del lavoro hanno provato a prevedere come si comporterebbero le enormi masse di materia calda che circondano i buchi neri supermassicci se questi ultimi fossero in realtà delle gravastar. In questo modo hanno scoperto che effettivamente le osservazioni sperimentali sul comportamento di queste masse sono compatibili con il modello delle gravistar, ossia che, per lo meno, il modello non contraddice le evidenze sperimentali. Questo non vuol dire, ovviamente, che sia corretto, ma implica che, almeno da questo punto di vista, è possibile o, più precisamente, che non è impossibile.
Un buco nero allo specchio
C’è di più: secondo i calcoli di Rosa e colleghi, l’aspetto esteriore della gravastar dovrebbe assomigliare molto a quello degli oggetti che oggi chiamiamo buchi neri: “La gravastar” dice ancora Rosa “sarebbe molto simile a un buco nero: il suo aspetto sarebbe quello di una sorta di ‘ombra’ che però non sarebbe dovuto al fenomeno dell’‘aspirazione’ della luce, ma piuttosto a un meccanismo di redshift gravitazionale che fa sì che la luce perda energia quando si muove attraverso una regione con un forte campo gravitazionale”. Tutto molto suggestivo, certamente: ma, come dicevamo, tutto ancora da dimostrare. Prima di dire (eventualmente) addio al modello dei buchi neri sarà necessario affinare il modello, provare a inserirlo in impianti teorici più grandi e verificati e soprattutto verificarlo con osservazioni ed esperimenti. “Per testare sperimentalmente i nostri risultati” conclude Rosa “contiamo sulla prossima generazione di esperimenti nel campo della fisica gravitazionale, e in particolare l’Event horizon telescope e Gravity+, due esperimenti che mirano a osservare da vicino ciò che accade nel centro delle galassie e in particolare della nostra Via Lattea”.
Fonte : Wired