La “tassa” per saltare la coda in ospedale: dai 60 anni si paga mille euro in più

Sembra esistere da sempre, ma ha meno di 50 anni. Quando nel 1978 fu varato il Servizio sanitario nazionale, l’Italia era un Paese macchiato dal sangue del terrorismo. La parola “austerità” e “crisi” erano già comparse più volte sui titoli dei giornali, mentre da lì a poco lo scandalo P2 avrebbe sconvolto le istituzioni.

“Addio sanità pubblica, ecco quanto ho speso con assicurazioni e fondi integrativi”

Prima ci si curava con il sistema delle “mutue”. In breve: chi aveva un lavoro versava i contributi alla mutua di appartenenza che forniva determinate prestazioni. Per quelle non contemplate si pagava di tasca propria o ci si affidava agli enti di beneficenza.

Ma, se quella del ’78 fu una vera e propria rivoluzione, quello a cui stiamo assistendo in questi ultimi anni è un vero e proprio “ritorno al passato”.

Con la lista di attesa infinita il boom della sanità privata e dei fondi sanitari integrativi 

Me ne accorgo intervistando le tante persone che scontano attese infinite per realizzare visite mediche di ogni tipo. “Ho appena prenotato una visita cardiologica che si svolgerà fra un anno e mezzo – mi raccontava un paziente  intervistato nel corso di un’inchiesta in un ospedale romano – nel frattempo potrei essere già morto”. “Per l’ecografia pancreatica di mia mamma mi hanno dato appuntamento all’anno prossimo, come è possibile? Lo sappiamo tutti che con il pancreas non si scherza” ribatteva un’altra.

“Quando chiamiamo i pazienti in lista d’attesa spesso sono già morti”: i tagli alla sanità che ci accorciano la vita  

Ma, malgrado i proclami le lunghe liste di attesa rimangono ancora il problema numero uno della nostra sanità. A sottolinearlo sono anche le associazioni dei consumatori. Gli utenti di “Cittadinanza attiva” segnalavano attese fino a 730 giorni per una mammografia: quasi due anni. Analogo discorso per altri accertamenti: per una gastroscopia o una visita cardiologica si può arrivare ad aspettare un anno negli ospedali pubblici. 

Le cause di queste condizioni le conosciamo bene: un definanziamento lungo anni, la fuga di medici e sanitari verso condizioni di vita migliori, l’invecchiamento progressivo della popolazione. Quello che comincia invece a essere chiaro sono gli effetti, ovvero il boom della spesa per prestazioni private che nel 2022 hanno toccato la quota record di 45 miliardi di euro. E a trarne vantaggio è chi fornisce prestazioni, ma anche polizze e fondi integrativi. 

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Della crescente diffusione di queste forme di assistenza privata ne abbiamo già parlato in questo recente approfondimento. Quello che colpisce è però che, tanto i fondi sanitari integrativi, quanto le polizze sanitarie non sono “universali”, ma si basano su quanto si è disposti a versare o su quale categoria sociale o produttiva si fa parte. In breve, se venissero usate come “sostitutive” della sanità pubblica avremmo di fatto un ritorno alle vecchie “mutue”. E lo scenario sarebbe abbastanza inquietante, specialmente per gli anziani. 

Polizze sanitari e fondi integrativi: così gli anziani pagano di più (o non si curano) 

Per accorgersene basta dare uno sguardo alle offerte. Uno dei maggiori fondi sanitari per liberi professionisti offre un fondo con quasi mille euro all’anno di scarto tra un ultra 70enne e una persona con meno di 50 anni. Nei piani sanitari integrativi per architetti e ingegneri il gap tra il prezzo delle coperture sanitarie per gli ultra 65enni e quelle degli under 45 supera i 1100 euro all’anno. Non solo: la polizza infortuni non è più valida sopra i 70 anni di età. 

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Analogamente nel mondo delle assicurazioni sanitarie la musica non cambia. Contatto una tra le più grandi agenzie di assicurazioni italiane: prima dichiaro la mia età, poi fingo di avere 74 anni. In questo caso posso sottoscrivere solo il “pacchetto base”, ma non posso avere né una formula con una protezione completa, né la polizza sulla protezione oncologica che mi viene offerta solo con 30 anni di meno. Del resto l’età avanzata vuol dire maggiori probabilità di ammalarsi e chi scommette con la mia salute lo sa. Una nota assicurazione sanitaria, ad esempio, non offre più polizze per cure dentarie dopo i 65 anni. Ma le variabili sono tante. 

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In un sito che compara le migliori offerte per quanto riguarda le polizze sanitarie indico la mia età e il mio lavoro: ho 44 anni e sono un dipendente di un’azienda privata. La migliore offerta per una copertura sanitaria completa mi costa 93 euro al mese. Se fossi dipendente pubblico il prezzo, con qualche piccola prestazione in meno, verrebbe sui 62 euro mensili. Quando invece dichiaro di essere un pensionato di 74 anni il pacchetto migliore che mi viene fornito è a 137 euro al mese, ma con molte limitazioni rispetto a quello per i più giovani. Ci sono meno soldi per i ricoveri, per la diagnostica, per i ricoveri e per le visite specialistiche, perché la probabilità che vada incontro a questi eventi è purtroppo molto alta.

Si chiama “rischio assicurativo” ed è una delle ragioni per cui un sistema “simil-mutualistico” non potrà mai essere universale e la sanità pubblica va salvata al più presto. Evitando così un processo che sa molto di “ritorno al passato”. 

Eppure la creazione di un sistema integrato di sanità pubblica fu il culmine di una stagione di attivismo che aveva chiamato in causa tutti. A battezzare la riforma fu Tina Anselmi. Ex partigiana, esponente democristiana e prima donna a capo di un ministero, in un’intervista raccolta pochi mesi prima di morire ricordava: “La riforma andava fatta, non significava ‘concedere’ un regalo, ma mettere il cittadino in condizione di esercitare un suo diritto”.

Fonte : Today