Da Salvini a Meloni. Se la politica (e la realtà) diventano un meme

“Presidente De Luca, quella s****a della Meloni”.

Qualcuno, in questa frase ormai piuttosto celebre pronunciata dal Presidente del Consiglio, ha visto un’esibizione di potere, una rivendicazione di un’identità precisa, combattiva, che risponde per le rime a offese e critiche.

Sono vere tutte queste cose, sicuramente. Quella frase, però, più di ogni altra cosa è un contenuto per i social network. Pensateci, è perfetta. Pronunciata a favor di camera, è breve, efficace e rovescia uno schema piuttosto comune, quello dei saluti tra due rappresentanti delle istituzioni. Stai scorrendo il feed, vedi De Luca, vedi Meloni, pensi di sapere cosa sta succedendo. E invece no, quello schema si ribalta: quell’atomo di realtà diventa un contenuto digitale, un meme se vogliamo ampliare il concetto.

Una campagna elettorale incentrata sul meme

Questa campagna elettorale per le elezioni europee, stanca e un po’ vuota diciamocelo, è stata più di ogni altra cosa un’occasione per ribadire la centralità di meme e contenuti multimediali nel modo in cui cittadini ed elettori si rapportano con la realtà. Ci sono stati i meme di Salvini con gli insetti e la bottiglia col tappo attaccato, le avventure di Super Splendido, le esternazioni singolari di Roberto Vannacci e i balletti di Angelo Ciocca. È come se in un contesto di generale disinteresse nei confronti dell’elezione in sé, l’obiettivo sia stato semplicemente catturare l’attenzione di cittadini e utenti, in una ricerca continua della frase, del contenuto, del meme potenzialmente virale.

Uno dei contenuti che hanno circolato in questi giorni lo ha prodotto Alfonso Maria Gallo, candidato per Stati Uniti d’Europa. Che, in un breve video pubblicato sui suoi canali social, si è definito “gallo” nel pollaio dell’Europa. “A un certo punto – mi racconta -, mi sono trovato nella condizione di dover partire con la mia campagna anche sui social. Ed è nata quest’idea intorno al mio nome, utilizzando la canzone di Zucchero Per colpa di chi come sottofondo. In breve tempo, mi sono trovato ospite di testate nazionali: quell’attenzione digitale si è trasformata nella possibilità di dire qualcosa a un pubblico piuttosto ampio”.

Le regole per il meme perfetto

Ma trovarsi nella condizione di dover catturare l’attenzione in modi poco convenzionali può essere un rischio per la qualità del dibattito pubblico. “Il punto è il contesto – continua -: se io dedico pochi secondo della mia attenzione a ciascun contenuto che vedo su Instagram, qualunque sia il tema io devo provare a entrare in quei pochi secondi, magari usando una chiave comica. Il rischio, certo, è che il dibattito si appiattisca”.

Del resto, il meme o il contenuto digitale è un format che ha regole precise. Regole che non prevedono una particolare complessità. “Un meme come quello di Salvini può funzionare per una serie di ragioni tecniche – mi spiega Giulio Armeni, tra i più bravi memer italiani con @filosofia_coatta – Mi presenta subito un conflitto e me lo fotografa in maniera memetica con una struttura oppositiva. È conflittuale non solo nei contenuti, ma anche nella forma, con la struttura a specchio: i due lupi che sono dentro di te, il meme dei due lupi”.

“Inoltre – continua Armeni – quei conflitti sono tangibili, immediati. Sfrutta un’altra caratteristica fondamentale del meme che è il relatable: situazioni in cui ti rispecchi perché le hai vissute. E il tappo della bottiglia è proprio quello: ti fa pensare che è successo anche a te. Non ti limiti a combattere delle ingiustizie, a sollevare dei temi, a sostenere delle cause: metti a terra qualcosa, un tema, lo trasformi in qualcosa di concreto”.

Tutti vogliono essere meme

Così i balletti, i giochi di parole, i meme funzionano – o comunque catturano la nostra attenzione – perché si inseriscono all’interno di una grammatica che frequentiamo. Trascorriamo molte ore, ogni giorno, sui social network: è a quelle tipologie di contenuti che siamo abituati. E sono proprio quelle tipologie di contenuti, che richiamano formati e modelli che funzionano nello spazio delle piattaforme, a catturare la nostra attenzione.

“Fare meme – è la definizione di Daniele Zinni, @inchiestagram, nel suo Meme dal sottosuolo – vuol dire individuare, modificare, ricombinare e riproporre, a mezzo social, elementi tratti dal discorso pubblico, dalla cultura pop e dagli immaginari di nicchie specifiche, secondo schemi che tendono a ripetersi, solitamente con intento comico”.

Questa definizione ampia aiuta a comprendere cosa sta succedendo: non è solo la politica a diventare meme, è tutta la realtà a trasformarsi in format per adattarsi agli spazi di comunicazione digitale.

“La forma della conversazione pubblica, in generale, – mi spiega Zinni – è la forma che prima aveva in particolare la circolazione dei meme: tutto (parole, immagini, scene) passa di account in account, si carica di significati e di interpretazioni e di parodie a ogni passaggio, e poi ricircola da capo, e continua a stratificarsi. La ricerca della memabilità è ormai la nuova ricerca della notiziabilità”.

Fonte : Today