“Papa Francesco non è un innovatore, sui gay ragiona per pregiudizi e stereotipi”

Ex parroco di Bonassola, Montaretto, Framura e Castagnola, comuni dello spezzino in cui celebrava messa prima di essere sospeso per aver esternato le sue posizioni a favore di unioni gay ed eutanasia, Don Giulio Mignani è oggi un “prete ribelle”, un attivista per i diritti senza peli sulla lingua. “Parlando ai fedeli – racconta a Today.it – avevo spiegato di non voler benedire le palme per evitare assembramenti. Era da poco finito il lockdown e farlo era facoltativo. E poi avevo aggiunto che in fondo ero contento di non farlo, perché se non si poteva benedire l’amore tra due persone dello stesso sesso, non aveva senso benedire dei ramoscelli di ulivo. Era da poco uscito un responsum del Dicastero per la dottrina della fede che ribadiva il divieto assoluto  di benedire coppie dello stesso sesso. Qualche fedele un po’ irritato mandò tutto ai giornali e partì la prima ammonizione da parte del vescovo. Il cartellino rosso arrivò nei mesi successivi perché partecipai alla raccolta di firme promossa dall’Associazione Luca Coscioni a favore di una legge sull’eutanasia e mi espressi a favore della legge 194. Da allora, pur restando un prete, non posso celebrare pubblicamente i sacramenti”.

Praticamente è come andare in aspettativa…

“Il fatto singolare è che nel codice del diritto canonico, la sospensione è definita ‘pena medicinale’, nel senso che il periodo di sospensione dovrebbe servire per curarmi, per accorgermi di aver sbagliato e per tornare sulla retta via. Per la Chiesa non sono una persona che ha espresso il suo pensiero ma una specie di malato”.

Veniamo all’attualità e parliamo della parola “frociaggine” che avrebbe usato Papa Francesco parlando dell’omosessualità nei seminari. Tu che sei un parroco “ribelle” che si spende per i diritti hai provato delusione?

“A differenza di altri ero già stato un po’ duro nei confronti del Papa e per questo avevo attirato su di me anche delle critiche. Avevo detto che bastava leggere i documenti e le dichiarazioni del pontefice per rendersi conto che non c’era stata nessuna apertura reale, ma eravamo noi a proiettare nelle sue parole dei concetti che in realtà lui non ha mai espresso”.

“L’intervento che è stato riportato – continua Don Giulio Mignani – e in cui avrebbe utilizzato quell’espressione infelice, segue una dichiarazione pubblica dello scorso marzo, quando aveva fatto riferimento al pericolo della cosiddetta ‘ideologia del gender’. In un’intervista a una tv statunitense, rilasciata ad aprile, ha ribadito che non si può benedire l’unione tra omosessuali ma bisogna accogliere le singole persone. Può sembrare una cosa da poco, ma in realtà dimostra che lui è fortemente radicato in quella che è la dottrina e non si scosta da essa”.

Non a caso non ha mai modificato le regole della Congregazione per l’Educazione Cattolica scritte durante il pontificato di Joseph Ratzinger nel 2005, che escludono gli omosessuali dai seminari.

“Non solo. Nel 2016, sotto il suo pontificato, è stato emanato un altro documento che confermai contenuti di quello del 2005. Il Papa ha utilizzato una parola che ferisce e che doveva evitare, ma anche se avesse detto ‘quelle brave persone omosessuali non devono essere accolte in seminario’, sarebbe stata una discriminazione nei loro confronti. Da quei documenti che abbiamo citato, si avverte l’idea che hanno dell’omosessualità. Andandoli a leggere, da un lato parlano di non accogliere in seminario una persona che ha tendenze omosessuali profondamente radicate, quindi considerano l’omosessualità come qualcosa che colpisce la persona e non che fa parte della sua identità; dall’altro si dice che potrebbero ammesse in seminario le persone che hanno superato quello che chiamano ‘problema transitorio’ da almeno tre anni, come se l’omosessualità fosse qualcosa di passeggero che può essere curato”.

Al di là dell’evidente discriminazione, dalle parole del Papa emerge una forte presenza di omosessuali nei seminari. In pratica si dice che non ne andrebbero accolti altri perché ce ne sarebbero già troppi. È così?

“Partirei dal seguito del discorso del Papa. Quando ha parlato di ‘frociaggine’, ha anche detto: ‘È molto difficile che chi ha quella tendenza non cada in tentazione’. Anche questo è discriminatorio, perché in tentazione può caderci chiunque, anche un eterosessuale. Bergoglio su questo ragiona per stereotipi; è convinto che l’omosessuale sia più fragile, incapace di contenersi. Purtroppo tutta la Chiesa ragiona per stereotipi e spesso per pregiudizi: tornando a quel documento del 2005, fu stilato dopo che erano esplosi molti casi di pedofilia, con delle diocesi americane che erano finite in bancarotta a causa delle denunce a preti e vescovi pedofili.

“Bergoglio ragiona per stereotipi; è convinto che l’omosessuale sia più fragile, che sia incapace di contenersi”. Così Don Giulio Mignani a Today.it

Quel documento, che vieta di accogliere gli omosessuali nei seminari, è arrivato in quel contesto: è chiaro che loro abbiano voluto legare l’omosessualità alla pedofilia. Anche questa è una cosa gravissima e priva di ogni fondamento. Francamente speravo che Papa Francesco chiedesse scusa in prima persona, senza affidare le sue parole a un portavoce, magari lo farà domenica durante l’Angelus, lo spero. Come spero che voglia dar seguito alle sue parole di accoglienza con un nuovo documento che cancelli i precedenti e accolga gli omosessuali nei seminari”.

Visto con gli occhi di un laico, viene da pensare che tra un prete omosessuale e uno eterosessuale, il problema della Chiesa sia non creare pretesti per trasgredire il voto di castità. Forse è attivato il momento di rivedere la questione del celibato?

“Io penso che si debba ragionare su più fronti: da un lato i seminari, il celibato obbligatorio e lo statuto del prete. I primi secondo me andrebbero proprio aboliti, perché la formazione per diventare preti si può fare vivendo all’esterno, come fanno tutte le ragazze e i ragazzi che vogliono diventare medici, ingegneri e altro. Gli aspiranti preti potrebbero frequentare le università teologiche, senza stare in luoghi chiusi con un’impostazione monacale, che possono creare persone con una forte immaturità affettiva e sessuale. E dovrebbero provare tutte le esperienze che provano i loro coetanei, compreso l’innamoramento. Quanto al celibato, lo renderei facoltativo e non obbligatorio, perché non c’entra nulla con la vocazione di una persona”.

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“La vocazione – spiega ancora Don Giulio – è come una specie di infatuazione: quando vuoi diventare prete sei disposto a tutto, anche a praticare il celibato e l’astinenza. Poi, in molti casi, quella scelta può generare sofferenza e persino situazioni più gravi. Si va dalle doppie vite a disfunzioni come pedofilia e non solo. E qui arrivo allo statuto del prete, che secondo me va desacralizzato. Mi spiego. Così com’è crea persone che pensano di poter esercitare un potere sugli altri e quindi anche sui loro corpi. Dietro le violenze sessuali c’è spesso una dinamica di potere che esula dal semplice desiderio sessuale. Penso al caso di Marko Rupnik, ex gesuita sloveno e amico di Papa Francesco, accusato di aver molestato e abusato di alcune religiose di una comunità”. 

Ma la Chiesa è pronta per discutere di questi argomenti in questi termini?

“Il celibato era già all’ordine del giorno del Concilio Vaticano II ed è stato stralciato da Paolo VI insieme all’uso dei preservativi. Molti vescovi, soprattutto africani, tornarono a casa delusi, perché molte cose, già nel secolo scorso, non avevano senso in molti luoghi del pianeta. Se questi argomenti non si affrontano mai, anche procedendo a piccoli passi, quando troveremo le soluzioni?”.

Fonte : Today