Giada gettata dal ponte sull’autostrada. Il compagno fermato: “Voleva portarmi via mio figlio”

“Abbiamo litigato, minacciava di non farmi vedere più mio figlio, poi sono andato a casa e mi sono addormentato quasi subito”. Ha detto così al magistrato Andrea Favero, il 39enne ora in stato di fermo con l’accusa di avere ucciso la compagna e madre del figlio di tre anni, Giada Zanola, la notte del 29 maggio buttandola giù dal cavalcavia di via Prati a Vigonza, alle porte di Padova. Il corpo della donna è stato trovato sulla sottostante autostrada A4, dopo essere stato investito più volte dai veicoli in transito. La procura di Padova ha fatto trapelare le parziali ammissioni dell’indagato al sostituto procuratore di Padova Giorgio Falcone, a cui non avrebbe tuttavia confessato pienamente il delitto trincerandosi dietro un “non ricordo”.

Il cavalcavia dov'è avvenuto il dramma-2

Secondo quanto ricostruito dalla procura patavina anche grazie alle immagini delle videocamere di sorveglianza, Andrea Favero era sul cavalcavia quando Giada Zanola, 34 anni, è precipitata sull’autostrada A4. Lui stesso al pm avrebbe ammesso una reazione dopo una aggressione verbale della compagna che lo aveva minacciato di non fargli vedere più il figlio. “Non ricordo che Giada sia caduta dal parapetto, ricordo solo che continuava ad offendermi e ricattarmi dicendo che mi avrebbe portato via mio figlio” ha detto il 39enne agli inquirenti affermando di avere “come un vuoto” e di non riuscire “a mentalizzare la scena”.

La “non confessione” di Andrea Favero

“Ricordo che eravamo a casa – ha detto Favero al pm – abbiamo avuto anche un rapporto sessuale, poi però abbiamo cominciato a litigare e Giada si è allontanata a piedi verso il cavalcavia che passa sopra l’autostrada che dista circa un chilometro da casa nostra. Io ho preso l’autovettura Ford CMAX e l’ho seguita raggiungendola dopo pochi metri da casa e facendola salire per portarla a casa” continua Favero.

La villetta di via Prati dove viveva Giada Zanola

Tuttavia a bordo dell’auto continua la litigata: “Lei mi sbraitava addosso come spesso ultimamente faceva dicendo che mi avrebbe tolto nostro figlio e non me lo avrebbe più fatto vedere” continua ancora il 38enne nella deposizione al sostituto procuratore di Padova Giorgio Falcone.

A quel punto Giada e Andrea sarebbero scesi dall’autovettura, ma qui i ricordi di Andrea si annebbiano: “Ricordo solo che mi continuava a ripetere che mi avrebbe tolto nostro figlio ma non ricordo se e come ho reagito. Non ricordo se siamo saliti sul gradino della ringhiera che si affaccia sull’autostrada che funge da parapetto”.

Favero ha affermato di essere “ancora innamorato di Giada” ma che tra loro “negli ultimi tempi c’era un rapporto burrascoso e conflittuale”. I due avrebbero dovuto sposarsi a settembre ma poi lei aveva annullato tutto. “Non se la sentiva più e voleva chiudere la storia” ha detto un amico di Andrea alla trasmissione di Rai La vita in diretta. Un’amica della vittima ha inoltre riferito agli inquirenti che Giada aveva paura di Andrea. Secondo la testimone ci sarebbe stato un violento litigio già il 27 maggio 2024, litigio nel quale la giovane donna aveva riportato dei lividi. Andrea sarebbe stato geloso per una presunta relazione della vittima con un altro uomo, ma i litigi sarebbero stati “all’ordine del giorno per motivi economici”.  

Al di là dei motivi da cui scaturisce questa triste storia, restano i dettagli ancora in parte oscuri di una cronaca terrificante. È lo stesso Andrea Favero a raccontare agli inquirenti cosa succede dopo quella lite sul ponte e dopo la caduta nel vuoto di Giada. 

“Sono tornato a casa da solo, di quel momento non ricordo altro, ho pensato subito a mio figlio e al fatto che lo avevamo lasciato a casa da solo, cosa che non era mai successa, per cui sono tornato immediatamente a casa. In quel momento io avevo solo mio figlio nella testa e non ricordo di avere mai pensato a cosa fosse successo a Giada” ha detto ancora al pm Favero. 

“Sono tornato a casa e mi sono addormentato”, poi la messa in scena

“Poi mi sono addormentato quasi subito” continua Favero che cerca di spiegare quel messaggio inviato al cellulare della compagna quando il corpo era già stato recuperato dalle autorità. “Alle 7:30 ricordo di essermi svegliato e di essermi accorto che Giada non c’era tanto è vero che le ho mandato un messaggio chiedendole se fosse già andata al lavoro e dicendole che non ci aveva nemmeno salutato come era solita fare”.

Nel telefono dell’indagato è presente un breve messaggio di testo inviato alle 7:38: “Sei andata al lavoro?? Non ci hai nemmeno salutato!!”. Per il sostituto procuratore una evidente messa in scena.

Fonte : Today