Atlas, il film con Jennifer Lopez che racconta un futuro distopico in cui l’IA si ribella agli esseri umani e prova addirittura a sterminarli, è il film più visto su Netflix (che l’ha prodotto) ma ha ricevuto critiche estremamente negative da pubblico e stampa.
Su Rotten Tomatoes, il noto sito web che ospita le recensioni di critici e spettatori, il film diretto da Brad Peyton ha un punteggio molto basso (4.10 su 10). Il New York Post, che ad Atlas ha dato appena una stella (su 4), è stato duro: “Quello di Jennifer Lopez è un flop”.
Di Atlas si parla molto anche perché la sua sceneggiatura rispecchia i timori di scienziati, ricercatori e imprenditori che negli ultimi tempi hanno lanciato numerosi allarmi sui rischi legati a un’intelligenza artificiale fuori controllo.
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Nei primi 15 minuti di Atlas si assiste:
1) All’intelligenza artificiale che aggira i protocolli di sicurezza degli esseri umani, ribellandosi ai suoi stessi creatori.
2) A una strage di esseri umani, uccisi da droni guidati dall’IA.
3) Alla guerra tra i robot umanoidi e militari in carne e ossa.
4) Alla fuga del capo dei ribelli – un “terrorista IA” chiamato Harlan – verso un pianeta ignoto.
5) Allo sforzo di un’unità speciale – guidata da Jennifer Lopez – che per 28 anni cerca di rintracciare il fuggitivo per eliminarlo.
Atlas insomma è la classica storia di fantascienza in cui una tecnologia creata dall’uomo, con l’intento di portare benefici all’intera società, prende il sopravvento con conseguenze sanguinose e disastrose. Non è molto diverso da ciò che accade in Terminator, per esempio, il film del 1984 di James Cameron in cui un’intelligenza artificiale dotata di coscienza, Skynet, vede nell’umanità una minaccia alla sua esistenza. E per questo intende annientarla.
Nel caso di Atlas, tuttavia, lo scenario catastrofico che apre il film – a cui contribuiscono finti telegiornali in cui si dà notizia di “robot dotati di IA che hanno ucciso oltre un milione di civili” – si intreccia con gli allarmi che abbiamo ascoltato ripetutamente da quando è stata aperta al pubblico ChatGpt, l’intelligenza artificiale generativa che imita la creatività umana ed è capace di esprimersi come una persona in carne e ossa.
Fa riflettere, a questo proposito, la scelta del regista Brad Peyton di validare il futuro distopico immaginato da Atlas con le parole di uno scienziato reale, tra i più influenti al mondo nel campo dell’intelligenza artificiale.
Nei minuti iniziali del film, infatti, compare anche lo scienziato Geoffrey Hinton, premiato con il “Nobel” dell’informatica per i suoi studi sulle reti neurali e l’apprendimento profondo.
In quella che sembra essere un’intervista appositamente registrata per Atlas, Hinton afferma: “Se produciamo esseri più intelligenti di noi come li teniamo sotto controllo? Asimov disse: ‘Se crei un robot super intelligente, la prima regola dovrebbe essere quella di non fare del male alle persone’”.
Per commentare il caos scatenato dai terroristi IA in Atlas, Hinton si affida alle tre “leggi della robotica” di Isaac Asimov, pensate dallo scrittore per le sue opere di fantascienza come la raccolta di racconti “Io, Robot” (poi diventata un film con Will Smith). Queste “leggi”, nelle storie di Asimov, garantivano che i robot fossero progettati come macchine sicure e utili per l’umanità, incapaci di nuocere agli esseri umani o disobbedire ai loro comandi.
La prima di queste “leggi” afferma che “Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno”.
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Hinton ovviamente non è Sam Altman. Non è insomma una “rockstar” dell’IA, un volto simbolo della tecnologia che oggi viene usata per riassumere testi, generarne di nuovi in un istante e per produrre immagini e video senza sforzi.
Per questo è impensabile che il pubblico di Atlas abbia riconosciuto lo scienziato all’istante e abbia ripensato alle sue parole di un anno fa, quando scosse il mondo dicendo al New York Times: “Mi pento del lavoro che ho fatto negli ultimi quarant’anni. Mi consolo con la solita scusa: se non l’avessi fatto io, sarebbe toccato a un altro”.
All’epoca Hinton aveva appena lasciato Google, l’azienda in cui lavorava da dieci anni, per parlare più “liberamente” dei rischi collegati allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Uno sviluppo che egli stesso, con il suo lavoro di ricerca, ha contribuito ad accelerare vertiginosamente nella scorsa decade.
Il cameo di Hinton, sui social e persino su Reddit – un social molto attento all’innovazione e ai rischi che la accompagnano – è passato quasi inosservato. La sua presenza, insomma, non accresce la popolarità del film. Ma le sue parole, di fatto, sono manna dal cielo per i doomer, vale a dire tutte quelle persone che ritengono l’umanità destinata all’estinzione o a un collasso imminente. Per colpa dell’IA.
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Ma in Atlas l’intelligenza artificiale è anche un prezioso alleato.
Nel film Jennifer Lopez utilizza un dispositivo chiamato “Neural Link” che si aggancia all’orecchio come un apparecchio acustico di ultima generazione. Solo che invece di amplificare l’udito, permette di collegare il proprio cervello a un’armatura intelligente che parla come Alexa, con tutti i vantaggi (ma anche i rischi) che questo comporta.
In questo caso agli spettatori non sarà sfuggita la similitudine tra “Neural Link” e Neuralink, il nome di un’azienda che esiste davvero e che fa capo a Elon Musk, uno degli imprenditori più controversi del pianeta.
Neuralink, fondata nel 2016, ha sviluppato un impianto neurale che permette una comunicazione diretta tra il cervello umano e i computer. Questa tecnologia, sviluppata anche da altre aziende, punta a trattare condizioni come la paralisi, la perdita dell’udito e della vista.
Tuttavia il lavoro di Neuralink solleva anche importanti questioni etiche e sulla “sicurezza” del cervello, che attraverso il chip impiantato potrebbe ricevere impulsi malevoli dall’esterno.
Fonte : Repubblica