Alla Corte suprema le testimonianza dei giapponesi vittime di sterilizzazioni forzate

I 15 giudici hanno assistito a tre ore di testimonianze nell’ambito di cinque cause e di quattro sentenze emesse da tribunali di rango inferiore. Al centro della controversia i tempi di prescrizione per una richiesta di risarcimento danni. Entro l’estate attesa la decisione. 

Tokyo (AsiaNews) – “Avrei dovuto essere io a decidere se sarei stato felice o meno […]. Volevo decidere che tipo di vita avrei condotto. Sono così frustrato di non averlo potuto fare”. Sono le parole pronunciate ieri davanti ai giudici della Corte suprema dall’83enne Kikuo Kojima, che aveva solo 19 anni all’epoca dei fatti, e che oggi è fra le vittime di “sterilizzazione forzata” costituite parte civile nella causa contro il governo. I magistrati, come racconta il quotidiano nipponico Asahi Shimbun, hanno ascoltato lui e gli altri querelanti che hanno deciso di ricorrere in tribunale contro la famigerata legge sull’eugenetica in vigore dal 1948 al 1996. I 15 membri hanno assistito alle tre ore di testimonianze nell’ambito di cinque cause e di quattro sentenze emesse da tribunali di grado inferiore e sui quali saranno chiamati a decidere in un verdetto che dovrebbe arrivare entro l’estate. 

Quasi 25mila persone con disabilità o malattie croniche sono state sterilizzate in Giappone tra il 1948 e il 1996 in applicazione di una legge sull’eugenetica. Almeno 16mila di queste eseguite senza consenso anche su minori, tra cui due bambini di nove anni, un maschio e una femmina. I dati rivelano l’ampio ricorso alla pratica in passato e sono contenuti in un rapporto di 1400 pagine pubblicato nel giugno scorso e presentato in Parlamento, che ha sollevato polemiche e discussioni. 

Lo studio mostra che la sterilizzazione era una condizione ritenuta necessaria per l’ammissione in strutture assistenziali o il matrimonio ed era inferta tramite radiazioni o con la rimozione dell’utero, con la maggior parte delle vittime donne. Essa veniva applicata su persone con disabilità, malattie mentali o disturbi ereditari e venne introdotta nel secondo dopoguerra anche per fronteggiare la scarsità di cibo nel Paese. In un secondo momento, come rivendicato sui libri di educazione fisica negli anni ‘70, il ricorso alla pratica veniva spiegato come metodo per “migliorare la predisposizione genetica dell’intera popolazione”.

I due principali punti di contesa sono l’incostituzionalità della vecchia norma e l’applicazione di un termine di prescrizione di 20 anni per negare il risarcimento ai querelanti. Tutte e cinque le alte corti chiamate a giudicare su procedimenti avviati da vittime di sterilizzazioni hanno dichiarato incostituzionale la vecchia legge; tuttavia, si è registrata nel tempo una divergenza di opinioni sulla prescrizione, con l’Alta Corte di Sendai che ha negato il risarcimento perché sarebbero scaduti i termini per il ricorso. Gli altri tribunali hanno invece ordinato al governo di ricompensare le vittime. Da qui il ricorso ai supremi giudici, che si devono pronunciare – entro l’estate – sulla prescrizione in modo da creare un quadro normativo univoco.  

Fra i querelanti, vi è una coppia che usando gli pseudonimi di Taro e Hanako Nomura ha intentato una causa all’Alta corte di Osaka, che in una sentenza definita storica ha importo al governo di pagare un risarcimento. La coppia ha raccontato di essersi sposata nel 1970 e Hanako è rimasta incinta, ma è stata sterilizzata senza consenso dopo un cesareo, con il bambino che è morto poco dopo il parto. Un altro querelante presso l’Alta corte di Tokyo di 81anni e identificato con lo pseudonimo di Saburo Kita ha parlato di una vita “stravolta” a causa dell’operazione in seguito alla quale “ho sofferto per 67 anni”. L’uomo è stato sterilizzato a sua insaputa quando aveva 14 anni, ma non lo ha mai raccontato alla moglie fino a poco prima della morte. Una donna di 70 anni, con causa aperta a Sendai, ha detto di aver voluto denunciare perché “non volevo che i danni causati venissero insabbiati, ma il governo ha ripetutamente detto che non si scuserà, né indagherà”.

Fonte : Asia