Un gruppo di una ventina di persone ha camminato dalla provincia meridionale di Madhesh alla capitale per 25 giorni con dei secchi vuoti sulla testa. Nella regione del Chure, che ospita una catena montuosa e diversi corsi d’acqua, le fonti naturali si sono prosciugate a causa di decenni di sfruttamento. Il governo, però, sta ignorando la questione.
Kathmandu (AsiaNews) – Da quasi una settimana un gruppo di cittadini nepalesi è arrivato nella capitale Kathmandu per protestare contro lo sfruttamento delle aree attraversate dalla catena di Chure, una zona montagnosa al confine con l’India dove le fonti d’acqua naturali si stanno prosciugando a causa di decenni di estrazione incontrollata della sabbia dai letti di fiumi.
I manifestanti, 22 in tutto, hanno camminato per 25 giorni dalla provincia meridionale di Madhesh con in testa dei secchi vuoti su cui hanno scritto gli slogan: “Governo, dacci l’acqua”; “Salvate gli alberi per l’acqua”; “Fermate l’invasione di Chure”. Non se ne andranno, hanno fatto sapere, finché il governo non avrà accolto le loro richieste.
Ma Kathmandu non ha ancora avviato un dialogo con i dimostranti, tra i quali figura anche Sabita Kumari Mahato, sorella minore di Dilip Kumar Maharo, ambientalista ucciso quattro anni fa per aver protestato contro le attività di estrazione illegali. Mahato ha dichiarato ai media locali che, nonostante la tragedia personale che lei e la sua famiglia hanno sofferto, la lotta per la conservazione della catena di Chure oggi riguarda l’intera regione e, presto, l’intera nazione. “Non possiamo sopravvivere senza acqua, nessuno può farlo”, ha detto. “Allora perché il governo non fa quasi nulla al riguardo?”
In alcuni villaggi le fonti d’acqua naturali – utilizzate anche per l’agricoltura – si sono già completamente prosciugate e gli abitanti locali sono costretti ad aspettare l’invio di cisterne da parte del governo. “Di questo passo, se il governo non fa niente, presto dovremo importare anche l’acqua”, ha commentato Mahato.
Martedì 28 maggio si è aperta una sessione parlamentare sul bilancio e il gruppo di ambientalisti sperava che il governo avrebbe stanziato fondi maggiori per il rimboschimento e la conservazione delle risorse idriche rispetto al budget dell’anno scorso. Così non è stato: il governo non ha apportato modifiche ai progetti esistenti.
Chure è riconosciuta come area protetta dal 2014, anno in cui venne istituito il Consiglio presidenziale per la conservazione della regione, che include anche la pianure del Tarai, spesso definite come il granaio del Nepal, perché è da qui che arriva la maggior parte della produzione cerealicola. Tuttavia secondo alcuni studi, gli sforzi compiuti dal governo sono stati inutili: da una parte la creazione di stagni e canali di irrigazione è stata troppo lenta rispetto ai ritmi di estrazione mineraria e deforestazione; dall’altra, sottolineano gli esperti, servirebbe un fondo indipendente con piena autorità che si occupi di questioni ambientali diverse.
Sunil Yadav, coordinatore del Comitato per la conservazione del Chure e delle foreste e a capo della campagna di protesta, ha affermato che è vergognoso che la popolazione locale debba dipendere dalle autobotti per le proprie necessità quotidiane. “Il Tarai è lodato come il granaio del Paese, ma negli anni a venire non ci sarà molto da vedere perché tutto si sta lentamente prosciugando”, ha detto. “Gli effetti del riscaldamento climatico sono visibili ovunque: nel Tarai, sulle colline e sulle montagne. Presto il degrado del Chure si ripercuoterà sull’intera nazione, e allora da dove arriveranno i cereali?”.
“I nostri antenati non hanno mai dovuto affrontare un così grande cammino di sofferenza solo per l’acqua. Non riesco a immaginare cosa ci sia in serbo per le generazioni future”, ha raccontato Sangita Devi Sada, che si è unita alla campagna perché da due anni, durante la stagione secca, i fiumi del suo villaggio hanno smesso di scorrere. “I miei piedi sono coperti di vesciche. Riesco a malapena a camminare. Con chi condivido questa sofferenza? Chi ci ascolterà?”
“Il fiume Kamala, che di solito scorre tutto l’anno, ha iniziato a prosciugarsi”, ha fatto eco Sonabatti Mukhiya, 70 anni. “Sta diventando irriconoscibile. Stanno portando camion ed escavatori per estrarre sabbia e massi di notte. La polizia guarda e basta. Sono tutti mano nella mano. Se tutto questo non verrà fermato, il fiume Kamala presto scomparirà senza lasciare traccia”.
Sono 12 le richieste al governo avanzate da Sabita, Sunil, Sangita, Sonabatti, e gli altri nepalesi che hanno marciato fino a Kathmandu. Tra queste: la creazione di una legge per la protezione della catena montuosa, il divieto di estrazione di sabbia dai letti dei fiumi e di costruzione in nome dello sviluppo, e un’indagine sulle attività nelle foreste, dove spesso l’estrazione risulta essere illegale.
Fonte : Asia