Quando la trovo, la leggo nel dettaglio ma non mi fermo qui. Cerco le protagoniste di queste storie sui social, le voglio vedere in faccia, voglio scoprire il dopo. Una parte di me, vuole dimenticarsi quello che il cassettino della dipartita le ha ricordato e spera che la leggerezza persa gliela possano restituire gli sguardi delle “altre”. È capitato, però, che scoprissi che dopo quelle storie piene di speranza, in alcuni casi, il tumore era ritornato o non se ne era mai andato e quelle Francesca, Sara, Giulia, Ester, Karin, oggi, non ci sono più.
Quello è il momento in cui, sdraiata nel letto alle tre di notte, rivedo tutti questi mesi in un elegante montage serrato e inizio a temere di averla presa troppo a cuor leggero, di aver ridotto tutto a uno schema, ad un appunto in agenda di una cosa sgradevole da fare ma una volta archiviata addio. Mi sono segnata gli step a mo’ di istruzioni del montaggio dell’Ikea come se la cosa potesse toccarmi solo nel corpo ma non nello spirito.
Punto uno: fai la PET.
Punto due: fai la scintigrafia.
Punto tre: fai la risonanza con e senza liquido di contrasto.
Punto quattro: pre-ricovero.
Punto cinque: mastectomia totale.
Et voilà: il tuo mobile Alezandryaz 2.0 con tetta finta è pronto per ritornare alla quotidianità.
Leggo queste storie e mi rendo conto che non è mai così, che il tumore non è stato tolto come il rosso dell’uovo dall’albume di quello che siamo, che ci ha cambiati. Ci sono chemio, radio, cure ormonali e colpi di scena che Brooke e Ridge spostatevi proprio. Si passa da un agile “Ok, è un nodulo circoscritto” a “Ops, anche i linfonodi non se la passano alla grande”. Sei nella Beautiful del cancro e sono le montagne russe più merdose di sempre per le quali avresti volentieri fatto a meno di comprare il biglietto – aka il ticket al Cup – perché ad ogni curva, mentre cerchi di non vomitare, impari cose nuove e cento nuovi modi per non guarire del tutto, per crepare.
Che, poi, voi lo vorreste sapere quando vi resta?
Ignorare, a volte, fa meno male, perché non si soffre per qualcosa che non si conosce, ma non sono nemmeno della scuola di pensiero che preferirebbe non sapere se il partner la tradisce. E alla fine, un cancro che cos’è se non un tradimento del nostro corpo che, li mortacci tua, con tutta la verdura che mangio, gli alcolici che non bevo e i chilometri che cammino, questa non me la dovevi fare. Intanto, attiriamo energie positive: io non morirò – oddio morirò pure io ma non di questo, tipo, che ne so, sterzando per salvare la vita ad un cervo; ultima vittima di un pericoloso serial killer; per una invasione aliena – ma i medici mi cureranno.
Una nota dell’autrice
Il cancro non è uguale per tutti. La malattia di ciascuno è unica, sia per motivi biologici
e medici che perché ognuno di noi la affronta in un diverso momento della vita. Ciò
che scrivo è frutto della mia personale esperienza. Non vuole dare una visione totale e
totalizzante sulla malattia oncologica o insegnare come affrontarla.
Fonte : Wired