Un bimbo scompare nel 1984 a New York e i genitori, 48 ore dopo, lanciano un disperato appello a mezzo stampa per ritrovare il figlioletto di 9 anni, mentre già si è messa in moto la macchina della polizia che setaccia la città alla ricerca del piccolo. Inizia così la miniserie Eric, una storia divisa in sei episodi che è un raffinato thriller psicologico e un commovente dramma, con protagonista assoluto un gigantesco Benedict Cumberbatch, di Vincent Anderson, il tormentato padre del disperso Edgar , mentre Gaby Hoffman è la sofferente madre in attesa Cassie. McKinley Belcher III interpreta invece il detective Ledroit. Scritta dal premio Emmy Abi Morgan e diretta da Lucy Forbes, Eric è disponibile su Netflix a partire dal 30 maggio.
Eric, la trama
Nella New York feroce degli anni ’80 un bimbo di 9 anni lasciato andare solo a scuola, scompare. A prendere la decisione di lasciargli fare quei due isolati in autonomia è stato il padre, Vincent Anderson, un artista creatore di burattini e autore di un notissimo show tv per bambini di cui le sue creazioni sono protagoniste, Good Day Sunshine. Vincent però è anche un uomo disperato, con un matrimonio alla frutta e una casa che è continuamente testimone delle brusche liti con la moglie Cassie. Così come testimone è il piccolo Eric, il bambino perduto che, nel momento della sua scomparsa, getta il padre in un abisso di sensi di colpa ma anche in una spirale autodistruttiva in cui perde, dopo il figlio, man mano, tutto quello che lo ancora alla realtà. È a questo punto che si aggrappa a Eric, il mostruoso burattino creato da Edgar e inizia insieme a lui la ricerca del figlio, ma inizia anche la battaglia per rendere Eric reale in modo da poterlo portare in tv e mandare un messaggio al figlio che, ovunque si trovi, Vincent è convinto, a quel punto tornerà a casa.
Eric, la discesa all’inferno di uomo disperato in una città senza pietà
Eric, questa strepitosa miniserie è coinvolgente, complessa e toccante. Da una parte c’è la suspence delle indagini e l’intreccio da districare per capire dove sia il bambino, dall’altra c’è la storia umanissima di un padre, che è soprattutto un uomo con molte ferite ancora aperte che, al momento in cui suo figlio scompare, ricominciano a sgorgare sangue. Sono ferite antiche, che si riaprono quando Vincent, costretto a guardare il modo in cui fa il padre, viene violentemente sbattuto indietro nel tempo, fino al momento in cui è stato figlio. Vinnie, ammaccato e difettoso, tra alcol e droghe, si aggrappa a un’allucinazione nata da un’idea di Edgar, che gli parla inscenando il dialogo interiore da cui non può più fuggire. Eric è un mostro che il figlio aveva visto e che lui invece si rifiutava di vedere, e diventa il compagno invisibile che lo guida in una ricerca apparentemente insensata, mentre tutto il mondo intorno a lui lo vede solo sprofondare in una spirale di rabbia e autodistruzione. Un incredibile Benedict Cumberbatch ci disturba e ci commuove alternativamente, portandoci nella profonda oscurità del protagonista, ma anche nell’alternativa sempre sognata, un’alternativa di serenità, luce, condivisione, affetto, complicità, e meravigliose giornate passate a giocare al Central Park, circondati di amici che si aiutano l’uno con l’altro, come succede nel suo Good Day Sunshine.
Solo che, questo mondo sognato da Vincent e sperimentato troppo fugacemente durante la sua infanzia non c’è più, e anche al programma Godd Day Sunshine viene chiesto di cambiare perché, dicono le tristi statistiche, la maggior parte dei bambini della città, a giocare al parco non ci va più. Ed eccola qui la vera controparte, l’altra protagonista di questo teso thriller psicologico che è anche un complesso e commovente dramma, in cui non mancano nemmeno messaggi di denuncia. Perché siamo nella New York degli ann’80, la città più violenta, corrotta, degradata, pericolosa e feroce del mondo. Una città che in quegli anni è stata davvero una giungla metropolitana senza regole, già raccontata al cinema in film come I Guerrieri della Notte, o protagonista di un’altra serie Netflix, bella e sottovalutata, The Get Down di Baz Luhrmann, e via elencando.
Una città allucinata e allucinante, dove tutto è sporco, tutto è perduto, tutto è miseria e disperazione e soprattutto, tutto è ingiustizia e violenza. Non solo nei ghetti e nei cunicoli della metropolitana, ma anche nei quartieri bene, da dove il veleno che intossica le strade parte e, sotto forme diverse, non può che tornare. Invasa dal crack e dall’eroina, umiliata dalla miseria e dalla prostituzione, soffocata dalla speculazione forsennata e dagli affari loschi che legano politica e imprenditori senza scrupoli, messa in ginocchio dalle ingiustizie e dalle discriminazioni, pericolosa e percorsa da fremiti di ribellione che esplodono nei graffiti che segnano ogni centimetro di questa terra senza speranza e senza pietà, la New York in cui si muovono i personaggi è marcia fin nelle fondamenta.
L’allucinato eppure lucido vagabondare di Vincent (e di Eric), la disperata ricerca di soluzioni d Cassie, le indagini di Ledroit, poliziotto nero e gay con tutto quello che ne consegue, sono raccontate attraverso una fotografia livida che ne segue il percorso che li cala nell’inferno. E’ quella New York frutto di ingiustizie e corruzione, la colpevole della scomparsa dei bambini, è la città senza luce che ha inghiottito Edgar, e la lacerazione di Vincent è legata anche alla consapevolezza di chi ha colpe precise verso questa distruzione, che ha colpe anche verso la sua, personale, devastazione. La città, Vincent, il suo bambino e tutti gli altri bambini, potranno salvarsi solo se si impegneranno a tornare “puliti”, ad emergere dal buio, per godersi quei bei pomeriggi di sole al parco, dove si può andare a giocare e crescere senza paura, e dove, insieme al sole, splende una luce di condivisione, solidarietà e speranza.
Voto: 8
Fonte : Today