I bambini fanno esperienza del mondo anche quando si trovano ancora al sicuro nella pancia della mamma. A partire dal terzo trimestre, infatti, i suoni del mondo esterno raggiungono il feto, e il suo cervello in formazione inizia a sviluppare preferenze, abitudini, e ad allenarsi per i compiti che dovrà imparare a svolgere una volta venuto al mondo. Uno su tutti: parlare. In effetti, il cervello dei neonati nati da madri bilingue sembra in grado di riconoscere un numero maggiore di variazioni fonetiche relative al linguaggio parlato, mentre i bambini nati da madri monolingue sono sintonizzati in modo più preciso su quelle della lingua materna. La scoperta arriva da uno studio dell’Università di Barcellona, pubblicato sulla rivista Frontiers in Human Neuroscience.
La ricerca è stata realizzata in Catalogna, una regione della Spagna in cui il 12% della popolazione utilizza regolarmente almeno due lingue: spagnolo (castigliano) e catalano. Ha coinvolto 131 neomamme e i loro neonati, nei loro primi tre giorni di vita. Utilizzando degli elettrodi esterni posizionati sul capo, i ricercatori hanno monitorato la loro attività cerebrale mentre sentivano una serie di suoni che andavano dalla vocale “o” alla “a” pronunciate con diverse intonazioni, concentrandosi in particolare su un tipo di risposta cerebrale chiamata “frequency following response” (Ffr), che permette di misurare con quanta precisione il suono ascoltato è codificato dal potenziale elettrico che evoca nei neuroni. Più l’Ffr è specifico, più il cervello è in grado di riconoscere con precisione il suono in questione.
Il 41% delle madri che hanno partecipato allo studio era monolingue, mentre il restante ha dichiarato di aver parlato regolarmente due lingue nel corso della gravidanza (spagnolo e catalano, o una di queste e una seconda lingua straniera, come inglese o arabo). “Le lingue sono molto diverse per quanto riguarda il tempo del parlato, ad esempio il ritmo o l’accentazione, ma anche l’intonazione e le informazioni fonetiche”, spiega Carles Escera, professore di neuroscienze cognitive dell’Università di Barcellona che ha coordinato la ricerca. “Questo vuol dire che ci aspettiamo che i feti di una madre bilingue si sviluppino immersi in un ambiente acustico più complesso di quelli delle madri monolingue”.
In effetti, i test effettuati hanno rivelato che i neonati bilingue sembrano riconoscere un maggior range di tonalità delle due vocali utilizzate negli esperimenti, a scapito però della precisione di questo riconoscimento, che è risultata maggiore nei neonati figli di madri monolingue. Secondo gli autori, lo studio dimostrerebbe quindi che il cervello inizia ad allenarsi nel riconoscere la lingua materna già nel cervello, massimizzando la sua efficienza quando la lingua è solo una, e riducendola invece quando deve iniziare a sintonizzarsi su un numero maggiore di lingue.
Una scoperta che sottolinea una volta di più quanto risulti attivo ed esposto all’ambiente esterno il cervello dei feti durante le ultime settimane di gestazione. Ma che – mettono le mani avanti gli autori dello studio – non fornisce alcuna indicazione concreta per i genitori che desiderano crescere come bilingue i propri figli. “Basandoci sui nostri risultati, è impossibile fornire alcuna raccomandazione ai genitori multilingue”, spiega infatti Jordi Costa Faidella, tra gli autori dello studio. “Il periodo sensibile per l’acquisizione del linguaggio dura molto oltre la nascita, e quindi l’esperienza postnatale può benissimo eclissare i cambiamenti iniziali che avvengono nel ventre materno. Indagini future su come un ambiente bilingue modula il riconoscimento dei suoni duranti il primo anno di vita potrebbero gettare più luce sull’argomento”.
Fonte : Today