Da tempo sotto attacco da parti dei partiti e movimenti di opposizione e perfino dalla Chiesa apostolica per la sua politica di “normalizzazione” del conflitto con l’Azerbaigian e di emancipazione dalla protezione della Russia, il presidente armeno esclude categoricamente l’ipotesi di elezioni anticipate. Ma anche il Cremlino nopn alza i toni più di tanto sapendo che Erevan non potrà fare a meno dell’appoggio militare ed economico di Mosca.
Erevan (AsiaNews) – Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pašinyan, è da tempo sottoposto a invettive e attacchi di ogni genere in patria, dai partiti e movimenti di opposizione e perfino dalla Chiesa apostolica, ma anche dall’estero con le critiche di Baku e di Mosca alla sua politica di “normalizzazione” del conflitto con l’Azerbaigian e di emancipazione dalla protezione della Russia. Diversi deputati avversari stanno chiedendo il suo impeachment dopo il cedimento agli azeri di alcuni villaggi di confine, ma dal suo partito dell’Accordo Civile rispondono di prendere queste minacce “con umorismo”, e di escludere assolutamente l’ipotesi di elezioni anticipate.
Le trattative con gli azeri, per cui Pašinyan è accusato di “cedimenti al nemico”, sono paradossalmente la sua migliore garanzia di difesa da ogni attacco, come ritiene l’osservatore Vadim Dubnov, mentre le proteste di piazza vanno lentamente affievolendosi, nonostante le iniziative del nuovo leader del movimento armeno di protesta “Tavowš in nome della Patria”, l’arcivescovo Bagrat Galstanyan, che sta cercando a fatica di unire tutte le opposizioni per far fuori il primo ministro. Anche da Mosca arrivano soltanto moniti piuttosto benevoli, al di là della retorica “filo-europea” di Pašinyan, in quanto il Cremlino sa che l’Armenia non potrà fare a meno dell’appoggio militare ed economico della Russia.
L’assenza del premier armeno alla parata militare della piazza Rossa lo scorso 9 maggio, dove accanto a Putin erano schierati tutti i leader dell’alleanza eurasiatica della Csto, è stata declassata alla necessità di rimanere a Erevan mentre erano in corso le proteste di piazza, animate dall’arcivescovo dell’eparchia di frontiera. Anche se in realtà solo qualche giorno dopo, quando ancora le vie della capitale erano occupate dai manifestanti, Pašinyan si è recato in visita in Danimarca, affidando ai suoi collaboratori il controllo della situazione. Del resto egli non era presente neppure all’incoronazione di Putin del 7 maggio, dove si è limitato a inviare l’ambasciatore in quanto “i capi di Stato non erano segnalati obbligatoriamente nel protocollo della cerimonia”.
Pašinyan in realtà ha preso parte al Consiglio superiore economico eurasiatico, di cui l’Armenia è presidente di turno, ma che si è tenuto a Mosca, dove ha incontrato Putin personalmente, mantenendo quindi un distacco formale più che effettivo. Anche dalla parte russa c’è un atteggiamento ambiguo: le proteste di piazza in Armenia sono dichiaratamente filo-russe, sostenute non solo dagli ecclesiastici, ma anche dalle persone vicine all’ex-presidente Robert Kočaryan, uno dei più stretti amici armeni del Cremlino. Eppure non sono andati oltre gli strepiti, con qualche eco nel parlamento di Erevan.
A esprimere in modo più esplicito la tensione con i russi è il segretario del Consiglio di sicurezza Armen Grigoryan, rivestendo il ruolo polemico nel gioco delle parti. Da giorni egli sta chiedendo a Mosca di ritirare tutte le truppe di “pacificazione” dalle zone di frontiera e soprattutto dall’aeroporto internazionale Zvartnots, nella periferia ovest di Erevan, e parla esplicitamente dell’alleanza con la Russia come di un “errore strategico”. Il ministro degli esteri Ararat Mirzoyan si limita invece ad affermare che “le relazioni con la Russia non sono attualmente al loro massimo livello”, anch’egli astenendosi dal partecipare alle riunioni dei suoi omologhi della Csto e della Csi, lasciando libero il primo ministro di prendere le posizioni più adeguate alle circostanze.
Da parte russa si lasciano le invettive contro gli armeni all’esagitata portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, mentre Putin si limita a commenti stringati e tiepidi, come se non credesse davvero all’allontanamento dell’Armenia dalla sua sfera d’influenza. Tutte queste ambiguità alla fine fanno il gioco di Pašinyan, che continua a ripetere che “l’Armenia storica e quella attuale sono cose completamente diverse”, cercando di costruire una nuova immagine del Paese risalendo attraverso le contraddizioni della regione caucasica e delle turbolenze della geopolitica mondiale, in attesa di capire dove porteranno.
Foto: Flickr / World Economic Forum
Fonte : Asia