Parigi – Se l’innovazione deve cogliere di sorpresa, questo probabilmente non è l’anno giusto. Non per la quantità di annunci: il fatto è che il tema principale è uno solo, l’intelligenza artificiale. Accade anche a Viva Technology, fiera parigina nata per essere la punta di diamante dell’ecosistema messo in piedi da Macron, ricca come al solito di espositori e ospiti: da Meredith Whittaker (presidente della Fondazione Signal) a Dario Amodei, fondatore e amministratore delegato di Anthropic, tra i principali rivali di OpenAI; da Linda Yaccarino, titolare del posto di lavoro più difficile del mondo, almeno in ambito business (è amministratrice delegata del Twitter dell’era Musk) allo stesso imprenditore sudafricano, presente però solo in collegamento. E poi John Kerry, ex inviato per il clima americano, le sorelle Williams, tenniste, e tanti altri. In una Parigi che si prepara alle Olimpiadi di giugno, la kermesse chiusa la scorsa settimana non ha aggiunto molto a quanto già sapevamo; non ha sorpreso, insomma. E questo è un po’ il segno dei tempi.
In tutte le salse
Nata negli anni Cinquanta, l’AI vanta un secolo di storia tra inverni lunghi e tiepide estati, come i tecnici chiamano la stagioni più o meno produttive della ricerca. Per portarla fuori dall’alveo di laboratori e romanzi di fantascienza si è dovuto attendere novembre 2022, con il lancio di ChatGPT, il tool che l’ha resa disponibile al grande pubblico. L’impatto che ha avuto non ha bisogno di essere ricordato qui: nei mesi che sono seguiti – secondo uno schema comune nel tech – sono nate molto in fretta migliaia di imprese che sfruttano l’evoluzione (o dicono di farlo), tutte alla ricerca di una visibilità da tradurre in finanziamenti. La Fomo (fear of missing out, la paura di perdersi la prossima Google), spinge i grandi investitori a essere munifici: e allora i grandi eventi rappresentano l’occasione giusta per incrociare domanda e offerta.
Tra i padiglioni parigini si sono, così, viste più che altro le mille declinazioni che l’intelligenza artificiale può avere oggi: dall’energia al clima, dalla bellezza (beauty-tech) allo sport, dalla pubblica amministrazione alla difesa. Progetti che possono essere interessanti per chi mastica dei vari settori, ma che nel complesso lasciano la sensazione di già visto. A guardarsi intorno, il cronista nota un altro elemento: la presenza massiccia delle grandi società di consulenza. Nelle fiere di questo livello le dimensioni degli stand, dati i costi, danno l’idea di dove spira il vento, e quest’anno i grandi nomi del settore non hanno badato a spese. La ratio è molto semplice: se vuoi inserire l’intelligenza artificiale nel tuo business, noi siamo qui per aiutarti.
Whitakker (Signal): “Attenzione alla concentrazione di potere nell’AI”
Mentre c’è chi pensa a Marte (Elon Musk, che l’ha ribadito anche questa volta), Meredith Wittaker della piattaforma di messaggistica Signal, come spesso le capita, riporta tutti sulla Terra . “L’intelligenza artificiale richiede moltissima potenza computazionale e tanti dati raccolti in maniera più o meno legale”, ha detto dal palco dello Stage One, il principale, che ha diviso con Arthur Mensch, ad e fondatore di Mistral (campione francese degli Llm) in una delle foto più interessanti di questi anni. “L’AI – ha proseguito Whittaker – è controllata da pochi soggetti americani che hanno costruito vantaggi competitivi enormi. Il problema è la concentrazione del potere in un numero ristretto di mani, peraltro in un momento politico volatile come pochi”. Dario Amodei ha parlato qualche istante dopo. Wired vi ha raccontato le preoccupazioni di Anthropic per il futuro dell’AI. Amodei dal vivo è più volitivo come appare in foto, ha energia da vendere, sicuramente ha la stoffa del businessman. Gesticola molto, all’italiana. Voce tonante, parole scandite. Ma, seppur ottimista sul futuro dell’AI, è più disposto del rivale Sam Altman ad ammetterne i rischi. Che ci sono, dice. Se dovesse investire su un settore? Gli viene chiesto. “Sceglierei quelli in cui si può combinare l’AI con altre tecnologie: la biologia, la robotica, l’energia”.
Non più metaverso
La buona notizia è il tramonto del metaverso per come ce lo avevano presentato: due anni fa, tra questi stessi padiglioni, non si parlava d’altro. A dominare su tutti, chi aveva cambiato il proprio nome – Meta, ex Facebook – per cavalcare una tendenza la quale, peraltro, aveva inventato. Al contrario, quest’anno la società di Mark Zuckerberg è apparsa sottotono. È in un momento di transizione, dopo che la scommessa dell’universo parallelo alla Snow Crash (il libro che quell’espressione, metaverso, aveva creato) è rimasta confinata ad applicazioni come le riparazioni e la telemedicina. Ma Menlo Park non va sottovalutata: e corre l’obbligo di ricordare che è madre di uno dei modelli linguistici più diffusi, LLAma. Macchine e tecnici non le fanno difetto, e siamo agli inizi.
Il Cybertruck
Stella dell’esibizione per i curiosi, il Cybertruck di Tesla, presentato per la prima volta in Francia dopo il giro in Italia delle scorse settimane. Ci siamo saliti, e gli interni riprendono quelli delle vetture del marchio americani, spartani ed essenziali, con grandi schermi a disposizione – uno delle dimensioni di un monitor da pc sul cruscotto, e uno per i passeggeri tra i sedili posteriori -. Gli spigoli vivi e il metallo (così ci raccontano allo stand) a prova di palla da baseball della carrozzeria non aiuteranno l’omologazione; il cassone di carico è ampio, ma, nel complesso, non si capisce se si tratti di un mezzo da lavoro oppure – più probabile – di un prodotto destinato alla nicchia di appassionati danarosi, vezzo più che necessità, da parcheggiare nelle strade cittadine.
Gli italiani
Poco da segnalare al padiglione italiano, abbastanza grande ma polverizzato e senza una chiara impronta. C’è Eoliann, startup torinese reduce dallo scorso G7 di Venaria, in cui aveva cercato visibilità e occasioni. “Operiamo nel climate tech, facendo previsioni di eventi catastrofali” dice a Wired il cofondatore e ad Roberto Carnicelli, “alluvioni, siccità, incendi legati al clima. Lo facciamo grazie al collegamento con tre costellazioni satellitari, due dell’Esa e una della Nasa. L’intelligenza artificiale usa, poi, questi dati per calcolare tre variabili: la probabilità che un evento accada, l’intensità con cui si verificherà e il danno che produrrà. Lo facciamo per tutto il continente, con una precisione di trenta metri”. L’azienda lavora per tre settori: banche, assicurazioni e infrastrutture, tutti interessati a prevedere nella maniera più accurata possibile i disastri del clima. Non è un mistero che sia diventato molto difficile stipulare polizze per certi tipi di rischi, mentre per il sistema bancario, afferma Carnicelli, “la questione è legata alla regole: i portafogli creditizi [ i mutui, ndr ] dovranno essere soggetti ad analisi climatica. Per le infrastrutture l’oggetto sono i piani di resilienza: Terna, che è nostra cliente, usa i dati per valutare il rischio idrogeologico per la propria rete di trasmissione”. La startup sta lavorando per includere un numero sempre maggiore di rischi nelle analisi: l’ultimo sono le frane, grazie a un bando del Pnrr.
La difesa e l’Africa
Come sempre, si fa notare il padiglione della Difesa francese, e, come sempre, foto e riprese video qui sono vietate. Parigi, che è rimasta l’unica potenza nucleare nella Ue del dopo-Brexit, non fa mistero di ritenere il settore vitale per i propri interessi, che restano proiettati in tutto il globo. L’Ai arriva anche qui, con modelli in grado di ricreare scenari di guerra, cartografia, e simulazioni per l’addestramento dei soldati. Espliciti i filmati al riguardo. Resta forte il legame con l’Africa, nonostante il disimpegno dal Sahel, con tanti stand di startup locali che testimoniano come il continente voglia un posto al sole nella corsa al tech. Almeno quattro gli Stati-chiave: Kenya, Nigeria, Sudafrica e Marocco. Anche qui, ormai gli unicorni, le società con valutazione oltre un miliardo, non sono più così rari.
Fonte : Wired