Ci sono Pfas nelle acque di quasi tutte le regioni italiane

Tutta Italia è inquinata dai Pfas. Ossia quei composti chimici utilizzati sin dagli anni Cinquanta principalmente dalle industrie di materiali impermeabili, di imballaggio o nelle concerie. Le sostanze chimiche che rientrano in questa definizione sono circa cinquemila. Nel corso degli anni è stato dimostrato che la produzione e la dispersione di Pfas nell’ambiente causano l’inquinamento di terra, aria e acqua, rappresentando un grave rischio per la salute di animali e persone.

In occasione di un convegno a Roma, per esortare la politica italiana a fermare la produzione di questi agenti chimici, Greenpeace ha diffuso i risultati di una recente indagine sulla presenza di Pfas nelle acque superficiali e sotterranee in sedici delle venti regioni italiane.

La ricerca di Greenpeace

I dati rivelano una situazione allarmante sia dal punto di vista dell’inquinamento, sia per quel che riguarda le analisi delle risorse idriche nei territori. Studiando i dati elaborati da Ispra dal 2019 al 2022, secondo Greenpeace i Pfas sono presenti nelle acque di tutte le sedici regioni italiane in cui sono state effettuate le indagini (Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Sicilia, Toscana, Umbria, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta).

Il 17% dei 18mila campioni prodotti su Scala nazionale riscontra la presenza di queste sostanze.
Per la giornalista investigativa di Greenpeace Elisa Murgese, dai risultati emerge “un’Italia che si muove a velocità differenti: tra il 2017 e il 2022 i controlli sull’eventuale presenza di Pfas nelle acque non sono stati fatti in Calabria, Molise, Puglia e Sardegna, mentre in altre regioni vengono fatte tutti gli anni“. A causa di queste differenze, il 70% dei campioni analizzati sono stati raccolti in quattro regioni del Nord Italia: Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte e Veneto, con le ultime tre considerate tra le aree più problematiche (il Veneto ospita una cosiddetta “zona rossa” situata tra le province di Padova, Verona e Vicenza). I risultati rivelano che anche in aree non fortemente industrializzate è stata rilevata la presenza di Pfas. Caso emblematico è la Val di Susa, in Piemonte, dove le sostanze sintetiche sono state rinvenute in una fonte d’acqua situata a 1200 metri di altitudine.

Pericolosi, resistenti e difficili da smaltire

Respirare aria contaminata, bere acqua di rubinetto con presenza di Pfas o mangiare una conserva di pomodori coltivati in un terreno inquinato comporta gravi rischi per la salute. Il dottor Francesco Bertola dell’Isde (Associazione medici per l’ambiente) parla di esposizione maggiore a patologie come carcinoma ai reni e ai testicoli, malattie della tiroide e diabete, oltre a danni ai feti e ai neonati, soprattutto in relazione al basso peso al momento della nascita.
Rispetto ad altri agenti inquinanti, le peculiarità che caratterizzano i Pfas sono la persistenza (sono destinate a restare nell’ambiente per centinaia di anni) e la pervasività, tanto che anche “la concentrazione di Pfas nell’aria sta aumentando“.

Lo afferma la ricercatrice del Cnr-Irsa (Istituto ricerche sulle acque) Sara Valsecchi durante la conferenza in un’analisi proseguita dal collega Stefano Polesello, che spiega come a causa della forte capacità di resistenza dei Pfas alle alte temperature, il loro smaltimento dovrebbe avvenire in inceneritori a 1200 gradi. “Un processo dai costi attualmente insostenibili“. E allora? A quanto pare, nulla si può fare per i Pfas già presenti in terra, acqua e aria. L’unico ambito in cui, ormai, è possibile agire, è la prevenzione.

Fonte : Wired