Dopo gli scontri dei giorni scorsi molti studenti stanno abbandonando la capitale kirghisa per tornare in patria, con una serie di voli charter organizzati direttamente da Islamabad. Le dure critiche del rettore dell’Accademia diplomatica Kurmanov: “Rischiamo di diventare un Paese-canaglia, dove tutto è spartito tra i clan locali”.
Bishkek (AsiaNews) – La recente notte di follia di massa a Bishkek, con gli scontri per strada tra abitanti locali e immigrati stranieri, ha lasciato una pesante atmosfera di incapacità di accoglienza e assenza di una vera “società civile” nel Kirghizistan. Molti studenti del Pakistan stanno abbandonando la capitale kirghisa per tornare in patria, con una serie di voli charter organizzati direttamente da Islamabad. Le conseguenze di questi eventi drammatici possono essere molto difficili per la società kirghisa e per i suoi rapporti con i vicini, come commenta su Azattyk il rettore dell’Accademia diplomatica del ministero degli esteri del Kirghizistan Zajnidin Kurmanov.
A suo parere, “rischiamo di diventare un Paese-canaglia, incapace di accogliere gli stranieri e con un governo senza autorevolezza, fatto di persone incivili a cui non vale la pena di destinare investimenti e dove non arrivano turisti, persone di grado inferiore nell’arena internazionale, e questo non era mai successo ai kirghisi”. L’esplosione di intolleranza rischia di compromettere del tutto l’immagine del Kirghizistan, “dimostrando un fallimento generale nell’istruzione e nella formazione civile”, e si rendono urgenti delle riforme “non parziali o rimaste a metà, ma portate fino in fondo”. Le riforme non devono essere soltanto politiche ed economiche, ma profondamente sociali, occupandosi di cultura e formazione, perché “lo Stato è un istituto molto complesso, un meccanismo con fattori molto diversi tra loro”.
Il rischio, secondo il decano dei diplomatici, è di “farsi prendere dalla smania delle riforme economiche e di mercato, dimenticando tutto il resto”. Il conflitto attuale crea una forte tensione con il Pakistan, una superpotenza regionale con tanto di potenziale nucleare, un Paese di 300 milioni di persone a fronte dei poco più di 7 del Kirghizistan. I pakistani che vengono a studiare a Bishkek sono per lo più esponenti delle fasce meno abbienti della popolazione, e in genere si comportano in modo molto tranquillo e riservato, essendo per tradizione gente tutt’altro che turbolenta, mentre “noi ci comportiamo da razzisti”, lamenta Kurmanov, osservando che “anche la polizia è rimasta a guardare mentre i nostri creavano problemi non solo agli stranieri, ma anche ai nostri stessi cittadini”.
Gli stranieri coinvolti nei disordini sono stati rimpatriati, mentre i kirghisi che si sono lasciati andare sono rimasti impuniti. Il dirigente degli esteri invita a rendersi conto della deriva dei comportamenti sociali in Kirghizistan, dove per esempio si registra un grave aumento della violenza domestica mentre “tutti tacciono, compresi i ministri del culto, i deputati e la polizia, non bastano gli sporadici interventi del capo della sicurezza Kamčybek Tašiev”. Kurmanov ricorda che “io sono un docente di storia e scrivo spesso della nostra grande storia, di come siamo un popolo di tradizioni antiche e nobili, ma solo finché vivevamo nei villaggi e cercavamo di costruire la nostra civiltà”.
Oggi invece “siamo amministrati da freddi burocrati, gli oligarchi si sono spartiti anche i seggi in parlamento e cambiano le leggi per evitare che qualcun altro, oltre a loro, possa avere accesso ai posti di potere, senza che alcuno elevi proteste neanche sulla stampa”. Secondo Kurmanov, parlando “da politologo”, è in corso la trasformazione “della democrazia in oligarchia”, e il Kirghizistan rischia di ridursi a “una prigione politica”. Domina quello che viene definito il kirghizčylyk, una spartizione dei clan locali che impone la differenza tra superiori e inferiori nella vita sociale dove non funzionano gli istituti che regolano la vita dei cittadini, sia quelli politici che le forze dell’ordine, “tutto è in mano ai corrotti e ai banditi”.
Kurmanov ricorda anche che quest’anno si commemora il centenario di alcuni padri della patria kirghisa come Abdykerim Sydykov, Imanaly Ajdarbekov e altri che hanno dato la vita per il Paese ai tempi delle rivoluzioni, quando i bolscevichi non avevano intenzione di identificare la repubblica kirghisa all’interno dell’Unione Sovietica, spartendola tra gli altri territori centrasiatici. Oggi lo Stato kirghiso esiste, conclude lo storico, “ma ci manca la civiltà, siamo 7 milioni di persone, ma non siamo dei veri cittadini e stiamo degradando sempre di più, dobbiamo ritrovare il senso della responsabilità verso la nostra terra”.
Fonte : Asia