Oltre 2mila persone potrebbero essere state sepolte dalla enorme frana che ha colpito il villaggio di Yambali, mentre un’agenzia Onu parla di 670 morti. La presenza di un conflitto tra gruppi tribali locali rende più difficili le operazioni di aiuto. Servono cibo e sostegno psicologico. Fonti di AsiaNews: nella zona “vi sono chiese luterane e avventiste”, mentre “i cattolici sono pochi”.
Port Moresby (AsiaNews) – Più di 2mila persone potrebbero essere state sepolte vive da un’enorme frana che ha colpito una zona remota della Papua Nuova Guinea il 24 maggio scorso, mentre il terreno insidioso e la difficoltà di portare aiuti sul posto diminuiscono la possibilità di trovare superstiti. Ancora oggi vi è molta incertezza sul numero reale delle persone decedute: un’agenzia Onu presente nel Paese parla di circa 670 morti, mentre il Disaster Management Team (Dmt) Secretariat della Png parla di un numero molto più consistente, superiore ai duemila. Il divario nella stima riflette le difficoltà nel formulare un bilancio attendibile e accurato, oltre ai problemi legati all’isolamento dell’area colpita.
La frana si è abbattuta sul villaggio di Yambali, nel nord del Paese, intorno alle 3 del mattino del 24 maggio, mentre la maggior parte della comunità dormiva. Più di 150 case sono state sepolte da detriti alti quasi due piani. I soccorritori hanno raccontato ai media locali di aver sentito delle urla provenire dal sottosuolo, ma le operazioni di ricerca e recupero dei dispersi sono complicate.
Fonti di AsiaNews nel Paese riferiscono che il villaggio è “parte della parrocchia di Kasap” e sorge “lungo la strada che conduce alla miniera di Pogera” e proprio le operazioni di estrazione potrebbero essere la causa del disastro, anche perché non vi sono state emergenze meteo. Sempre nella zona, prosegue la fonte, “vi sono chiese luterane e avventiste”, mentre “i cattolici sono pochi”.
“Ho 18 membri della mia famiglia sepolti sotto le macerie” e “molti altri membri del villaggio che non riesco a contattare” ha detto alla Reuters Evit Kambu, un abitante della zona. Egli dice si sentirsi “impotente” perché impossibilitato “a recuperare i corpi”. A più di 72 ore dalla frana, infatti, i residenti stanno ancora usando vanghe, bastoni e mani nude per cercare di spostare i detriti e raggiungere eventuali sopravvissuti o dispersi. L’arrivo di attrezzature pesanti e di aiuti è stato lento a causa della posizione remota ma anche per i pericoli legati a un conflitto tra gruppi tribali locali che si sta consumando nelle vicinanze. Scontri e violenze che costringono gli operatori umanitari a viaggiare in convogli scortati da soldati e a rientrare nel capoluogo di provincia, a circa 60 km di distanza, di notte.
Nella guerra tribale sono state uccise otto persone e bruciate 30 case il 25 maggio scorso, come ha riferito un funzionario delle Nazioni Unite. Oggi i convogli di aiuti hanno superato i resti delle case ancora fumanti. Il primo escavatore ha raggiunto il sito solo nella tarda serata di ieri, e finora, sono stati recuperati solo sei corpi.
I contatti con le altre parti del Paese sono difficili a causa della ricezione discontinua nelle comunicazioni per le limitazioni all’energia elettrica nel sito.
In una nota l’ufficio comunicazione Dmt sottolinea che “l’Onu continua a lavorare con le autorità locali per verificare le stime preliminari di feriti, dispersi e morti. Il team di coordinamento umanitario delle Nazioni Unite ha raggiunto Wabag e sta collaborando col comitato provinciale per il coordinamento della risposta“. “Acqua pulita, cibo, vestiti, articoli di riparo, utensili da cucina e medicine rimangono priorità urgenti per i sopravvissuti. Sono necessari – conclude la dichiarazione . anche materiali per lo smaltimento sicuro e dignitoso dei corpi […] e il sostegno psicosociale rimane una priorità assoluta”.
Secondo Matthew Hewitt Tapus, un pastore di Port Moresby il cui villaggio natale si trova a circa 20 km dalla zona del disastro, molte persone non sono nemmeno sicure di dove si trovassero i loro cari quando la frana ha colpito. Fra gli abitanti, infatti, è prassi comune rimanere a casa di amici e parenti. “Non è che tutti siano nella stessa casa nello stesso momento, quindi – spiega il leader cristiano – vi sono padri che non sanno dove si trovano i loro figli, madri che non sanno dove sono i mariti. È un caos”.
L’ufficio del primo ministro James Marape ha dichiarato che il disastro è stato gestito dalle autorità di emergenza della Png e che il capo del governo si trova nella capitale Port Moresby per prepararsi al ritorno del Parlamento domani, dove dovrà affrontare una mozione di sfiducia. Ancora adesso vi è il rischio che il terreno e i detriti si spostino di nuovo e più di 250 case sono state abbandonate mentre i funzionari incoraggiano le persone a evacuare. Più di 1.250 persone sono state sfollate, mentre alcuni locali non vogliono che macchinari pesanti ed escavatori entrino nel villaggio e interrompano il lutto.
Fonte : Asia