La matematica per costruire con il dna che si ispira agli origami

Una collaborazione internazionale di scienziati, di cui fa parte anche un gruppo di ricercatori del Laboratorio di materia soffice al Dipartimento di fisica di Sapienza Università di Roma, è riuscita a mettere a punto un nuovo metodo matematico che consente di creare strutture complesse di dna, assemblando le molecole come se fossero mattoncini da costruzione. E un gruppo di colleghi della Arizona State University (e di altri istituti) ha validato sperimentalmente il metodo, seguendo le regole matematiche per costruire in laboratorio alcune di queste strutture. La ricerca, i cui risultati sono stati appena pubblicati sulla prestigiosa rivista Science, apre la strada alla progettazione di nuovi nanomateriali dalle proprietà ottiche molto interessanti, che forse un giorno potranno essere utilizzati per perfezionare componenti da usare in computer quantistici e altri dispositivi fotonici e nanoelettronici.

Origami di dna

L’idea di usare il dna come un “mattoncino” da costruzione non è nuova: ciò che rende questa molecola così interessante e versatile è la specificità delle interazioni tra le basi azotate che lo compongono, ossia il fatto che ciascuna delle quattro basi azotate si lega solo a un’altra (l’adenina alla timina e la guanina alla citosina, e viceversa). Una relativa semplicità strutturale che ha portato i ricercatori, già all’inizio degli anni ottanta, a cercare di sviluppare tecniche per assemblare queste molecole come se fossero tessere di un puzzle; la vera svolta è arrivata nel 2006, quando Paul Rothemund, un fisico del California Institute of Technology, ha proposto un sistema di “piegatura” del dna ispirato agli origami giapponesi: sostanzialmente, frammenti della molecola vengono ripiegati su se stessi in modo da avvicinare regioni inizialmente lontane e successivamente “cuciti” tramite una sorta di graffette, sempre composte di dna. La tecnica, che si chiama per l’appunto dna origami, è sembrata da subito molto promettente e ha già trovato diverse applicazioni, soprattutto nel campo del trasporto dei farmaci, ma ha ancora qualche limite: è difficile replicare il processo su grandi quantità e produrre forme particolarmente complesse, un obiettivo invece essenziale per utilizzare su più ampia scala queste strutture.

Vero o falso?

È in questo punto della storia che si inserisce il lavoro appena pubblicato: gli autori dello studio sono infatti riusciti a mettere a punto un sistema per rendere più efficiente, precisa e scalabile la costruzione di queste strutture, controllando (ed evitando) tutti i possibili “errori” in fase di assemblaggio: “Il problema principale che emerge quando si cerca di aumentare la dimensione delle strutture a base di dna” ci spiega Lorenzo Rovigatti, co-autore del lavoro “è costituito dalle cosiddette trappole cinetiche. È come se i pezzi delle molecole, ripiegandosi, si ‘incastrassero’ in una certa configurazione, il che impedisce loro di assemblarsi nella struttura che invece desidereremmo avere”. Per superare questo problema, gli scienziati hanno “tradotto” le modalità di assemblaggio delle molecole in un sistema di regole, più precisamente delle clausole booleane – difatti lo strumento si chiama soddisfacibilità booleana, o Sat –, che rappresentano matematicamente le modalità e i vincoli della costruzione dele strutture, e hanno poi messo a punto un algoritmo per soddisfare queste clausole: “Il nostro algoritmo” prosegue Rovigatti “consente di simulare il processo di auto-assemblaggio. Il vantaggio di usare il Sat è che, oltre a ottenere una soluzione che assembli la struttura ordinata voluta, permette anche di affinare la soluzione affinché eventuali strutture che competono con quella target vengano sfavorite. In questo lavoro applichiamo questa tecnica sofisticata per progettare al computer e poi ottenere in laboratorio un materiale cristallino mai assemblato prima, dimostrando chiaramente le potenzialità del nostro metodo, che abbiamo ribattezzato ‘Sat-assembly’. Sostanzialmente, con questo metodo iterativo i ricercatori sono riusciti a mostrare che inserendo nuove clausole è possibile evitare che le molecole si “incastrino” durante il processo di assemblaggio, e ottenere quindi la configurazione desiderata. In questo modo, in collaborazione con il team sperimentale della Asu, è stato possibile assemblare un cristallo colloidale che non esiste in natura, il pirocloro, finora considerato impossibile da realizzare sperimentalmente.

Nuove proprietà, nuovi materiali

La tecnica è ancora perfettibile: gli scienziati hanno ora intenzione di raffinare l’approccio per riuscire a realizzare struttura ancora più grandi, dell’ordine delle centinaia di nanometri. A quel punto, sarà possibile anche pensare alle loro applicazioni: “Questi cristalli, e in particolare i ‘vuoti’ presenti al loro interno” conclude Rovigatti “hanno proprietà ottiche molto interessanti: se attraversati dalla luce ne trattengono alcune frequenze e ne fanno passare altre. Con queste strutture potrebbe essere possibile progettare nuovi nanomateriali in grado di ‘manipolare’ con estrema precisione la luce, il che sarebbe molto utile, per esempio, nei campi della fotonica e della nanoelettronica.

Fonte : Wired